Il 2018 è stato per la Chiesa cattolica un anno difficile. Il sinodo dei giovani è stato un flop clamoroso: i ragazzi europei, e da qualche tempo anche le ragazze, disertano in misura sempre più massiccia le navate delle chiese, gli oratori e le sacrestie e non esiste nessuna ricetta che possa riportarli alle vecchie abitudini. Quella di convocare un sinodo su questo tema si è rivelata una scelta fallimentare e masochista, che ha avuto come unico effetto quello di mettere a nudo l’impotenza e il drammatico vuoto di idee che affliggono da tempo il cattolicesimo su questo delicatissimo versante. Sarebbe stato assai più ragionevole soprassedere.Il pontefice aveva scelto per il sinodo quel tema proprio perché l’aveva ritenuto innocuo e neutrale, non adatto a sollevare i pericolosi conflitti verificatisi durante gli ultimi due dedicati alla famiglia. Il papato di Francesco attraversa da tempo una fortissima involuzione conservatrice: la preoccupazione numero uno del papa appare sempre più chiaramente quella di evitare conflitti e lacerazioni, di ricomporre le divisioni e sanare le fratture.
Molti dei mal di pancia che Bergoglio vuole oggi curare sono nati come reazioni ai propositi “rivoluzionari” che il papa argentino proclamò solennemente non appena eletto al soglio di Pietro. A quel tempo, ormai quasi sei anni fa, Francesco annunciò di voler cambiare la Chiesa, di voler riformare la curia e il papato, di voler democratizzare l’istituzione aumentando i poteri delle periferie, di voler discutere seriamente del ruolo delle donne. Questo ambizioso programma generò alcune inquietudini nel gran corpaccione dell’istituzione millenaria: qualcuno tra i più ingenui, qualche sprovveduto, temette davvero che un pericoloso sovversivo fosse giunto al vertice della Chiesa per ribaltarla dalle fondamenta, per riformarla sul serio.
Per questo motivo si costituì un eterogeneo e scalcagnato esercito antibergogliano che ha presto arruolato anche i segati, i trombati da Francesco, quei gerarchi arrabbiati con lui per ragioni squisitamente personali e di carriera. È bastato che questa truppa improvvisata e improbabile facesse irruzione nello spazio pubblico perché il papa argentino, terrorizzato dall’ipotesi del conflitto, non solo accantonasse rapidamente e in modo definitivo ogni progetto di cambiamento dell’istituzione, ma anche iniziasse a inseguire la destra reazionaria sul suo stesso terreno.
L’esempio più clamoroso di questa dinamica si è verificato, nel corso del 2018, sul terreno scottante e delicatissimo della lotta alla pedofilia clericale. Dinanzi all’accusa avanzata da un oscuro ex nunzio apostolico messo prematuramente a riposo, monsignor Viganò, di essere un sostenitore della lobby gay nordamericana e in particolare del discusso cardinal McCarrick (un sospetto abusatore), Bergoglio ha reagito con l’esibizione di un’avversione profonda e radicata verso gli omosessuali, chiedendone a più riprese la messa al bando dai seminari e dichiarando che, se presa in tempo, da bambini, l’omosessualità può essere “curata” ed “estirpata”. Insomma, messo in difficoltà dai reazionari, Francesco ha mostrato di saper meglio di loro far mostra di un atteggiamento ostile verso il riconoscimento delle differenze, il pluralismo, i diritti e la modernità (da menzionare anche un terrificante discorso contro le donne che abortiscono e i medici che le aiutano pronunciato qualche mese fa).
Francesco si è rivelato in definitiva un leader realista. Venerato come un’icona da una sinistra che si è accontentata delle sue promesse e che assiste imbambolata e impotente al loro sistematico tradimento, Francesco ha scelto di dedicare la parte finale del suo pontificato alla paziente rassicurazione dei suoi nemici, sia di quelli personali che di quelli diciamo ideologici. Il risultato complessivo è quello di una Chiesa che conferma di privilegiare sempre di più la nostalgia per il passato alla speranza per il futuro, la lotta contro le libertà alla passione per il progresso civile e materiale. Con buona pace dei cattoprogressisti e delle loro desolanti chimere.