In questi giorni, sono circolate delle voci catastrofistiche e del tutto infondate su un provvedimento presente nella legge di bilancio: quello che pospone al 1 dicembre l’assunzione a tempo indeterminato nelle università. Si sono viste le reazioni isteriche più disparate, a partire da docenti che hanno incitato i propri studenti a lasciare il nostro Paese (come se tutti gli studenti dovessero essere assunti all’università) o gente che ha invocato l’ex ministra Gelmini. Se osserviamo l’andamento del Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo, la principale fonte di finanziamento per le università statali) negli ultimi anni, vediamo che durante il regno di Tremonti-Gelmini è avvenuto un disastro epocale, cioè l’Ffo che è stato tagliato di oltre 800 milioni.
Negli ultimi anni, a causa dei tagli, i docenti universitari sono diminuiti in modo drastico: da circa 60mila a meno di 50mila. Un disastro per un Paese che è agli ultimi posti in Europa per numero di laureati nella fascia di popolazione 25-34 anni. Eppure, l’istruzione superiore è il miglior investimento possibile di denaro pubblico, con un ritorno che l’Ocse quantifica in 3,7 volte la cifra investita. Questa situazione non si può recuperare in tempi brevi. Per i prossimi tre anni, il Governo ha previsto aumenti costanti dell’Ffo e non più tagli (vedi grafico).
Il provvedimento sul blocco delle assunzioni sembrerebbe però andare nella direzione opposta a quella di potenziare il settore università. In realtà, si tratta solo di un’operazione contabile, che possiamo definire “geniale”. Quelle bloccate (per 11 mesi) sono le prese di servizio a tempo indeterminato su punti organico del contingente 2019, non di quelli prima. Di conseguenza, sono esclusi dal blocco i ricercatori a tempo determinato di tipo B in quello che è il principale canale di reclutamento per l’università; sono esclusi esplicitamente (ma non sarebbe stato neppure necessario precisarlo) coloro che da ricercatore di tipo B avendo conseguito l’abilitazione passano a professore associato, sono esclusi tutti i contratti a tempo determinato (ricercatori di tipo A) e tutti i vincitori di concorsi in atto che utilizzano punti organico assegnati precedentemente.
Inoltre, è passato quasi sotto silenzio un provvedimento davvero importante: per la prima volta le assunzioni riferite al 2019 saranno maggiorate rispetto al turn-over, perché è passato un provvedimento che permette alle università che se lo possono permettere (e sono la maggioranza, non solo quelle citate dal Corriere) di impiegare più punti organico rispetto a quelli derivanti dalle cessazioni di servizio. Punti organico che potranno essere impiegati sia per le assunzioni a tempo determinato (che è bene ripetere, non sono toccate) e sia per le promozioni e i passaggi di carriera. Quelle poche persone interessate al provvedimento vedranno spostata la propria presa di servizio solo di alcuni mesi. Infatti, per come funziona l’università, i punti organico non sono mai assegnati all’inizio dell’anno. Da qui, devono essere distribuiti ai dipartimenti e i concorsi banditi. Ben difficilmente qualcuno prende servizio nella prima metà dell’anno.
Perché, allora mettere in subbuglio il mondo universitario per un (quasi) nulla? Perché il provvedimento permette di presentare a “Leuropa” un risparmio di alcune decine di milioni, anche se non colpisce quasi nessuno. Questa è una conseguenza delle assurde regole di bilancio decise da “Leuropa”. Se prima c’erano Governi che si presentavano a Bruxelles con il piattino in mano, adesso per fortuna ne abbiamo uno che di fronte a richieste assurde (rapporto deficit/Pil al 1,6%) ha instaurato una trattativa al rialzo (chiedendo inizialmente il 2.4%) con il risulto di portare a casa un dignitoso 2.04%. Per ottenere questo risultato è stato necessario presentare diversi risparmi. Il provvedimento sulle assunzioni all’università figura come un risparmio perché per mettere in cantiere le nuove assunzioni dal 1 gennaio 2019 serve accantonare gli stipendi per tutto l’anno (decine di milioni, appunto) ma in realtà le università italiane non sarebbero mai in grado di far firmare le prese di servizio il 1 gennaio, ma solo molti mesi dopo.
Chi lavora negli atenei queste cose le sa, e infatti si guarda bene dal protestare, visto che ci sarà un turn over maggiorato per il 2019 e quindi più assunzioni, non certo meno! Vista l’enorme richiesta che c’è riguardo a una posizione universitaria, mi sembra che chiedere di aspettare qualche mese per il bene del Paese (con maggiori possibilità di essere chiamati, vista la maggiorazione del turn-over, tra l’altro) sia un sacrificio davvero minimo, sicuramente inferiore rispetto a quello richiesto ad altre categorie. Si poteva fare meglio? Con le attuali regole di bilancio europee, ben difficilmente. La speranza è che a maggio si instauri una nuova commissione, la quale finalmente tenga fuori dai vincoli le spese di ricerca e istruzione.