La loro seconda vita è sbocciata all’estero. Un biglietto di sola andata per seguire un sogno, un lavoro o una qualità di vita migliore. Abbiamo raccontato le loro storie su ilfattoquotidiano.it e li abbiamo ricontattati in questi giorni per capire dove avrebbero trascorso le feste, se a casa o nel paese dove si sono trasferiti. E se prima o poi il loro piano è di tornare. Un desiderio che non nascondono, come quello della malinconia per chi hanno lasciato anche a migliaia di chilometri di distanza. Vorrebbero rientrare, ma il prezzo da pagare è troppo alto. Per Valentina significherebbe “dipendere dai genitori” perché a parità di ruolo nelle università italiane non sarebbe pagata bene come lo è a Copenhagen. Per Roberto, invece, l’idea di tornare si confonde con l’insostenibile vortice della burocrazia italiana mentre a Drusilla mancherebbero stimoli e apertura mentale. Eppure per tanti, se ci fossero le condizioni, il rimpatrio sarebbe in cima alla lista dei desideri.

“Qui ho il privilegio di una vita che in Italia non potrei permettermi” Michele Diomà ha prodotto il suo ultimo film a New York con il premio Oscar James Ivory, ma in Italia “l’assistenzialismo al cinema attraverso la distribuzione di finanziamenti pubblici, con modalità del tutto arbitrarie, ha trasformato il settore in una grande macchina per smuovere consenso elettorale”, racconta. Spera, un giorno, di poter produrre finalmente il suo film in Italia senza speculazioni e pressioni di ogni tipo. Ma al momento questo scenario ideale resta un sogno. Per lui come per Roberto Pagani, che insegna all’università in Islanda nonostante i suoi 25 anni e sente di essere rispettato, valorizzato come dottorando, mentre “in Italia siamo spesso trattati alla stregua di faccendieri dei professori”. Senza contare gli aiuti dal sindacato “che qui funzionano davvero”, aggiunge. Poi ci sono anche i casi di chi ha già lasciato alle spalle gli anni del lavoro, e che all’estero, con la sua pensione italiana, può godersi la vita. Rodolfo Rizzo se n’è andato 17 anni fa alle Azzorre e indietro non tornerebbe. “Come potrei? Qui non c’è inquinamento, il clima è perfetto, zero criminalità, esci e non chiudi la porta di casa. Sono privilegi che da noi non potrei permettermi. Non esistono condizioni interessanti, ad oggi, per il mio rientro in Italia”.

“Il mio pensiero nel lungo periodo è di tornare a casa” Valentina Barletta dall’Università Tecnica della Danimarca rientrerebbe, certo, ma solo con stipendi (da ricercatore) adeguati al costo della vita: “Nel migliore dei casi mi ritroverei di nuovo a dover dipendere dai miei”, risponde. E proprio non le va. A Copenaghen ha un appartamento in centro, la vita è a misura d’uomo e non ha bisogno di preoccuparsi del suo futuro. Andrea Baldessari ammette che a Hong Kong ci sono mille risorse e mille opportunità, “ma il mio pensiero nel lungo periodo è quello di tornare nel mio Paese d’origine”. Eleonora Caso si è abituata ad uno standard di vita alto e tornerebbe, sì, ma solo se “lo stipendio fosse adeguato”, ammette. E poi dovrebbe convincere il suo compagno (che non è italiano) ad imparare la lingua, a tornare e a trovare un lavoro in Italia. C’è Drusilla Galelli, che in Italia con la sua famiglia ci è tornata davvero dopo aver vissuto per anni in Kuwait, e racconta che “ciò che sta stretto è la mancanza di apertura mentale: vivere all’estero ti smuove, ti regala sempre nuove sfide”. E sogna, magari, di ripartire. Maico Campilongo da Palo Alto tornerebbe, certo, se avesse l’opportunità di creare un’azienda così come ha fatto negli Stati Uniti, lavorando onestamente e senza chiedere favori di turno. Antonio Riccio dall’Iraq resta ancora stupefatto da come gli Emirati abbiano saputo costruire un polo economico mondiale dal deserto. “Qui – racconta – mi hanno dato la possibilità di lavorare senza favoritismi, senza corruzione, senza dover pagare pegno a qualche barone”.

“Non ho nulla contro l’Italia, ma ormai la mia vita è qui” – Ma se si parla di vacanze di Natale sono tutti accomunati dalla nostalgia. Quasi sussurrano. Michele si ritiene fortunato perché è tornato per alcuni giorni nella sua Napoli e ammette che “la prima sfida per farcela all’estero è proprio vincere la nostalgia di casa”. Roberto passerà questi giorni a discutere se tornare con la sua ragazza finlandese. “Lei – dice – è favorevole, ma non ha idea di cosa l’aspetta”. Rodolfo lustrerà la sua bandiera italiana che sventola dalla casa alle Azzorre ma per spiegarsi cita Gaber. “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”. Valentina passerà da Milano, “ma solo in visita”. Ad Andrea, trentino, parlare di Italia oggi si lega al ricordo di Antonio Megalizzi, “un giovane che si è messo in discussione come molti di noi, andando oltre i confini per trovare la propria strada”. Maico è rimasto a Palo Alto, ma la nostalgia in questi giorni è protagonista. “Nonostante tutto mi manca immensamente la mia Calabria e la mia famiglia in festa per Natale”. Antonio pensa a tutti “quelli che stanno inseguendo il loro sogno lontani da casa”, Eleonora invece è convinta di voler restare a Dubai anche se “più invecchio più vorrei tornare in Europa”. E poi c’è Matteo Frasson, chirurgo a Valencia, che l’anno prossimo prenderà il passaporto spagnolo. “Alla fine mi sento un cittadino europeo. Non ho nulla contro l’Italia: qui ho il mio lavoro, i miei bimbi, la mia stabilità economica”. La notte di Natale ha chiamato i suoi genitori, sua sorella, gli amici più stretti. “Poi sono tornato al lavoro – conclude – Quest’anno ero di guardia”.

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Ingegnere in Germania. “In Italia crescevano responsabilità ma non lo stipendio. E facevano a gara a chi stava di più in ufficio”

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