Per lasciare il lavoro dall'1 gennaio sono necessari almeno 43 anni e tre mesi di contributi contro i 42 anni e 10 mesi richiesti fino a fine dicembre. Il governo, che aveva annunciato di voler congelare l'aumento, ora dovrà intervenire ex post. E eventualmente reintrodurre l'uscita anticipata per le lavoratrici e lo scivolo per disoccupati, invalidi e per chi svolge attività gravose
In attesa del decreto attuativo con le novità sul sistema previdenziale e quota 100, sono aumentati i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata che il governo aveva annunciato di voler congelare. Dall’1 gennaio infatti, come previsto dalla normativa precedente, per lasciare il lavoro sono necessari almeno 43 anni e tre mesi di contributi (42 anni e tre mesi per le lavoratrici): cinque mesi in più rispetto al 2018. Allo stesso modo è scattato l’adeguamento del requisito per la pensione di vecchiaia all’aspettativa di vita: ora bisogna aver compiuto 67 anni e non più 66 anni e 7 mesi come fino al 31 dicembre 2018.
Visto che gli aumenti sono ormai scattati, ora l’esecutivo dovrà intervenire riducendo di cinque mesi i requisiti. La misura dovrebbe entrare nel decreto che disciplinerà la possibilità in via sperimentale, per tre anni, di uscire in anticipo se si totalizzano 62 anni di età e 38 di contributi, con finestre trimestrali per i lavoratori privati (prima uscita aprile 2019) e semestrali per i pubblici (prima uscita probabilmente a luglio 2019, ma si discute ancora di ottobre).
Non solo: a fine 2018 sono scaduti anche l’Opzione donna, che permetteva l’uscita anticipata alle lavoratrici con almeno 35 anni di contributi nate entro il 1959 a fronte del ricalcolo della pensione con il metodo contributivo, e l’Ape sociale, che consentiva agli over 63 in difficoltà (disoccupati, invalidi o con un lavoro pesante) di avere un’indennità a carico dello Stato in attesa dell’età di pensione. Entrambi i provvedimenti, non essendo stati prorogati, dovranno essere eventualmente reintrodotti con il decreto su quota 100.