Il 2018 di Donald J. Trump si chiude all’insegna del muro, anzi, dei due muri. Il primo muro – un inutile e costosissimo monumento al più demagogico ego del 45esimo presidente Usa e un regalo alla parte più torvamente xenofoba della sua base politica – è, ovviamente, quello che Trump vuole, fortissimamente vuole, costruire lungo i 3145 km del confine tra Usa e Messico. Tanto lo vuole, in effetti, che per ottenere i fondi necessari a erigerlo non ha esitato a provocare – nel consueto turbinio di tweets – la parziale (e ancora in corso) chiusura degli apparati governativi.

Il secondo muro – assolutamente metaforico ma, paradossalmente, molto più concreto e solido del primo – è invece quello che, in questo crepuscolo dell’anno del Signore 2018, Donald Trump ha non costruito, ma infranto. In sostanza: così come, nell’ottobre del 1947, un areo-razzo pilotato dal capitano Chuck Yaeger ruppe per la prima volta il muro, o la barriera, del cosiddetto Mach 1 (la velocità del suono), Donald Trump ha appena qualche giorno fa rotto il muro della menzogna. Ovvero: da autentico pioniere ha infine, frottola dopo frottola, trascinato il mondo oltre il “bang”, in una dimensione nuova e ancora tutta da esplorare. Quella, per l’appunto, della menzogna “supersonica”.

Ad annunciare lo storico evento è stato, lo scorso 10 dicembre, il giornalista al cui meticoloso lavoro con più attenzione guarderanno gli storici che, tra qualche decennio o qualche secolo (se tanto resta da vivere al pianeta Terra), cercheranno di comprendere, con il vantaggio della lontananza, come e perché nella prima metà del ventunesimo secolo – sospinta dai venti putridi del nazionalismo, della xenofobia e dell’autoritarismo – la peggior ciarlataneria politica si fosse impossessata del mondo. Questo giornalista è, naturalmente, Glenn Kessler, titolare per il Washington Post della rubrica The Fact Checker, il controllore dei fatti, il cui scopo è appunto quello di confrontare ciò che i politici dicono con la fredda e (prima dell’era trumpozoica) inconfutabile realtà dei fatti.

Che Donald Trump fosse, in questa contesa tra propaganda e realtà, destinato a infrangere ogni primato era per la verità apparso evidente ben prima che diventasse presidente degli Stati Uniti. Per delineare, e con abbondanza di dettagli, l’inequivocabile profilo dell’impostore, bastava infatti esaminare – attraverso le pagine della peggior cronaca mondana e quelle degli atti dei molti processi fallimentari che l’hanno visto protagonista – la sua biografia di cronico bancarottiere. Ma non del tutto scontato era, a dispetto di tali precedenti, il fatto che tanta velocità dovesse, in così poco tempo, vanificare ogni precedente metodo di misurazione della menzogna.

Riassumendo: il fact checker s’era fin qui basato – e, presumibilmente, continuerà a basarsi laddove si confronti con bugiardi, diciamo così, “normali” – su una classificazione in numero di “pinocchi”. Un pinocchio per una veniale alterazione dei fatti, due pinocchi per una un po’ meno veniale esagerazione, tre pinocchi per una menzogna con incorporato qualche elemento di verità e, infine, quattro pinocchi per una menzogna piena e rotonda, immacolata espressione delle più pura e ingiustificabile malafede.

Già nel corso della sua campagna elettorale, Trump aveva, in materia di falsità, garantito a se stesso – e per ampio distacco – il più alto posto del podio. E certo è che, una volta entrato alla Casa Bianca, ha poi mantenuto ritmi degni del più travolgente crescendo rossiniano. Un’occhiata alle cifre per meglio metter a fuoco il fenomeno. Nei primi 100 giorni della sua presidenza Trump aveva, fatti alla mano, mentito 492 volte, per una media giornaliera di 4,9 – più o meno pronunciate – frottole. Allo scadere del suo 500esimo giorno di governo, lo scorso maggio, questa media era salita a 6,5, ad agosto aveva toccato 7,5 e per la fine dell’anno aveva, con impressionante impennata, raddoppiato raggiungendo quota 15.

Un’ascesa irresistibile e pressoché esponenziale che, tuttavia, non è stata in sé la causa del summenzionato infrangimento del muro. A provocare il “bang”, il metaforico ma fragoroso superamento del “Mach 1”, non sono state infatti in questo caso né la quantità né la qualità (pure entrambe altissime) delle balle da Trump instancabilmente profferite. Così fosse stato, il problema avrebbe potuto esser risolto semplicemente aumentando il numero dei pinocchi. Dai quattro a sei, a dieci o a venti. Ma a rendere impraticabile questa strada – e a provocare l’accelerazione che ha infine trasformato Trump nel primo bugiardo “supersonico” della storia degli Stati Uniti e forse del mondo – è stata la perpetua ripetitività delle fandonie, la loro assoluta, puerile (ma non per questo meno infame) impermeabilità a ogni forma di “fact-checking(cliccare qui per un parziale elenco delle più che provate panzane che Trump ha, con una frequenza non di rado superiore alle 100 volte, indefessamente ripetuto negli ultimi due anni). Una rivoluzione, questa – o più propriamente una sconcertante forma d’involuzione politico-culturale-etica – che ha lasciato a Glenn Kessler un’unica possibilità: creare una nuova e apposita categoria. Quella delbottomless pinocchio”: il pinocchio senza fondo.

Come andrà a finire? Non manca chi ritiene che a scavare questo baratro sia – oltre all’ovvia e naturale propensione alla menzogna del personaggio – anche una forma di paura. Più specificamente, il timor panico per l’avvicinarsi del giorno del giudizio. Il cerchio della verità – o delle molte verità sulle quali vanno indagando lo “special counselRobert Mueller e altri giudici – si sta a quanto sembra stringendo attorno al ballista supersonico. Sarà dunque questo l’anno dell’agognata vendetta della verità, il 2019? Sperarlo non costa nulla. Ma nell’attesa, negli Usa la menzogna continua a viaggiare, con Trump in cabina di comando, ben oltre la velocità del suono.

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