Facendo zapping tra i vari discorsi e pronunciamenti di fine anno dei grandi e semigrandi europei, e confrontandolo con quello, peraltro molto bello e diretto, di Sergio Mattarella, c’è un dato che balza agli occhi. Nell’anno più caldo di sempre, in cui dati, scienza, evidenza empirica ci dicono esattamente cosa potrebbe succedere se non agiamo, ma anche come è possibile farlo adesso in modo efficace e sostenibile, il Presidente parla di mille cose, ma non dell’urgenza di agire contro il clima sregolato. Non è un caso. Non ne ha parlato perché in Italia, e specificamente in Italia, si pensa che questo tema non stia nella testa della gente, non serva a conquistare consenso; non si ritiene che richieda scelte ed azioni urgenti, anche perché è troppo difficile da affrontare e risolvere davvero con promesse facili da twittare.
E, a differenza di ciò che succede in Germania, in Belgio o in Francia, gli ambientalisti in politica come nelle associazioni, non riescono a mobilitare davvero l’opinione pubblica, nonostante la coscienza della gravità della situazione avanzi e ci siano numerosi e virtuosi esempi di azione concreta. Eppure sappiamo che abbiamo più o meno 12 Capodanni per impostare il percorso che dovrebbe portarci a un mondo a zero emissioni nel 2050. Sappiamo che l’Italia è più a rischio di altri paesi a causa di fragilità naturali e carenze amministrative e infrastrutturali, ma è anche la seconda green economy d’Europa e ha un grande potenziale di soluzioni e competenze frustrate da disattenzione e incuria.
E allora che fare? L’anno che verrà sarà davvero quello della svolta possibile e avremo molte occasioni per organizzarci e entrare in partita, in politica, con le elezioni europee ed amministrative, ma anche in materia economica, dato che manovra o no, solo riprendendo un cammino virtuoso di crescita sostenibile e giusta sarà possibile assicurare lavoro e futuro per chi oggi è senza prospettive; e sociale, perché l’esasperazione può scoppiare in qualsiasi momento in un contesto avvelenato da parole di odio e false soluzioni urlate a reti unificate da giovani uomini cattivi e orgogliosi di esserlo.
Osservando i successi degli ambientalisti nel 2018 in Germania, Olanda e Belgio, la rapidità e capillarità del sostegno all’azione legale contro l’inerzia climatica del governo in Francia, che ha coinvolto in 6 giorni più di 1,7 milioni di cittadini e ha potuto contare sul sostegno di vip e star; vedendo l’impatto globale delle parole durissime contro i potenti del mondo della studentessa svedese Greta e la crescente mobilitazione di centinaia di scuole e ragazzi; ascoltando un po’ perplessi la versione di “Bella ciao” in chiave “climatica” messa in rete da attivisti e artisti belgi, mi pare che in Italia non possiamo proprio più permetterci di continuare a dare la colpa della nostra arretratezza (che tocca perfino Mattarella) ora ai media, ora a Berlusconi, a Renzi, a Grillo o a Salvini o a Trump, ora all’Eni o alle banche. Ora dobbiamo essere noi a darci una mossa.
Ma attenzione: dietro i successi dei Verdi tedeschi, olandesi e belgi non ci sono solo “cape” fotogeniche, c’è lavoro, molto studio, organizzazione e selezione seria di leadership e competenze; e comunque la Germania non è ancora in linea con i suoi obiettivi climatici; dietro ai fatti e dati sul clima impazzito ci sono migliaia di scienziati e di ore di studio, eppure ancora hanno spazio coloro che si permettono di ignorarli; dietro alla petizione francese c’è l’opera ancora non conclusa di un pool di 20 avvocati che hanno lavorato gratis e di attivisti e artisti che hanno dato tempo e idee per 3 anni; ma altrettanti ce ne vorranno per una eventuale condanna; dietro a città magnificamente governate e verdi sparse ovunque in Europa ci sono amministratori pazienti che hanno saputo convincere commercianti e cittadini ad accettare di cambiare modo di muoversi, di abitare, perfino di divertirsi, ma a prezzo di compromessi e fatica.
Insomma, l’onda verde non cade dal cielo: per questo in Italia più che altrove dobbiamo proprio smettere di perdere tempo e disperderci noi, verdi, ecologisti, europeisti, femministi, amministratori, giornalisti e artisti più o meno verdeggianti, combattenti per libertà e buonisti impenitenti, imprenditori e lavoratori “sostenibili”, eccetera eccetera…: abbiamo bisogno di organizzazione, facce serie e contenuti solidi, in politica, ma anche nella società e tra gli attori dell’economia e della cultura, capaci di lavorare insieme.
Questa è dunque la sfida per il 2019. Ci vuole innanzitutto urgentemente una proposta per le elezioni europee aperta e plurale, ma distintamente ecologista e federalista europea, capace di attirare tutti coloro che da sinistra, ma anche dal mondo civico e dall’associazionismo libertario e dei diritti vedano chiaramente che c’è poco da essere solidali e “buoni” se non c’è più il pianeta. Ma non basta. Ci vuole una maggiore capacità di organizzazione e di impatto anche da parte del mondo economico e delle tecnologie “verdi”, che deve capire, come già successo in altri paesi, che solo mettendo insieme in una “lobby” trasparente e virtuosa le forze organizzate dei vari settori manifatturieri ed energetici interessati alla transizione ecologica si può contrastare l’influenza sulla politica dei settori “fossili” e costringerli a cambiare. E ci vuole anche una maggiore “permeabilità” e una minore diffidenza tra chi agisce nella società, nella cultura, nell’accademia e chi sta nelle istituzioni e nella politica. Una maggiore voglia di confrontarsi e discutere. Perché il mondo è complesso: e nel 2019 come nel 2018 o nel 2020 perdere la bussola sarà più semplice che ritrovarla.
Jerez, 1 gennaio 2019