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Basket, il campione Ndoja arrivato con il barcone: “In campo mi insultano. Chi vive qui non capisce perché si scappa”

“Se l’Italia avesse chiuso i ponti o affondato ogni barcone proveniente dall’Albania oggi io non sarei qui a raccontare questa storia” A parlare è Klaudio Ndoja, classe 1985, il primo cestista albanese nella storia della serie A1. Oggi veste i colori della Bertram Derthona, una società ambiziosa della serie A2, ma nel corso della sua carriera ha giocato da protagonista nella massima serie diventando il capitano di Brindisi e della Virtus Bologna senza mai dimenticare le sue origini.

È arrivato in Italia nel 1998 da “clandestino” insieme alla sua famiglia per scappare dalla violenza che insanguinava il suo paese: “C’era il coprifuoco e se uscivi di casa rischiavi di morire a causa delle pallottole vaganti. Una di quelle un giorno ferì mia sorella mentre giocavamo insieme, così mio padre decise che era ora di partire”. La famiglia Ndoja vende tutto quello che ha in casa per racimolare la cifra da pagare agli scafisti. Un milione e mezzo di lire a testa. È questo il prezzo della traversata da versare ai trafficanti. “Pochi mesi prima di partire avevamo letto sui giornali che un nave piena di migranti era stata speronata dalla guardia costiera italiana ed erano morte molte persone – ricorda Klaudio – ma ormai avevamo già pagato e pur sapendo che rischiavamo la morte siamo partiti, non avevamo scelta”. Il primo tentativo non va a buon fine e Klaudio viene arrestato dalla polizia albanese. Dopo due giorni di maltrattamenti in carcere, viene rilasciato e insieme alla sua famiglia ritenta la sorte. “Viaggiavo seduto su un carico di cocaina. Gli scafisti usavano noi bambini e le donne come scudi per i loro traffici. Quando arrivammo a 40 metri di distanza dalla riva ci buttarono in acqua, dovevamo continuare a nuoto, ma c’era chi come la mia sorellina non sapeva nuotare. Mio padre la prese in braccio e tutti insieme riuscimmo a raggiungere la riva”.

Da quel momento, inizia il periodo più difficile della vita di Klaudio. Senza i documenti, è costretto a nascondersi insieme alla sua famiglia nel Nord Italia. Non può andare a scuola e non può fare la vita dei suoi coetanei. L’unico posto dove si sente al sicuro è il campo da basket dell’oratorio: “Avevo la sensazione che qui la polizia non potesse venirmi a prendere per rispedirmi in Albania”. Qui viene notato da don Marco, una delle figure chiave della sua vita, che gli propone di entrare nella squadra locale e lo aiuta a superare le difficoltà burocratiche e legali. Il talento di Klaudio attira l’interesse di alcuni dei più importanti settori giovanili italiano, prima Desio grazie al quale anche la famiglia del ragazzo ottiene il tanto atteso di permesso di soggiorno e poi Casalpusterlengo. Inizia così un’altra fase nella vita del giovane cestista che lo porterà in giro per l’Italia arrivando fino in serie A1. “Sembra quasi uno scherzo del destino: nel 1998 sono sbarcato con il gommone sulle coste pugliesi e tredici anni dopo guidavo da capitano la squadra di Brindisi alla promozione in serie A1”. Un destino che si è ripetuto anche nel 2017 questa volta con la storica società della Virtus di Bologna che grazie all’esperienza di Klaudio è ritornata in serie A1. Oggi dopo 136 presenze nella massima serie, Ndoja ha scelto di ripartire dal Derthona Basket, una delle società più ambiziose della serie A2. “Ancora oggi quando giochiamo in trasferta mi urlano “albanese di merda, torna al tuo paese”. Quello che la gente che vive in questa parte del mondo non capisce è che nessun padre di famiglia metterebbe a rischio la vita dei propri figli su un barcone se non avesse davvero la necessità. Immaginatevi i vostri nonni che sono emigrati, oggi fanno la stessa cosa. Dobbiamo imparare a non giudicare per le persone non per la loro provenienza né per la classe sociale a cui appartengono”