Ci sono tutti gli elementi di una fiaba, insomma le situazioni ricorrenti individuate da Vladimir Propp. A partire dall’allontanamento. Il problema è che il tempo e lo spazio sono definiti. Già, perché dell’Atleta di Fano, oppure Atleta vittorioso, detto anche Atleta che si incorona o Lisippo di Fano, cioè della scultura bronzea attribuita, su base esclusivamente stilistica, allo scultore greco Lisippo o ad un suo allievo, si conosce la data della scoperta e quella del suo allontanamento, ma non ancora quella della sua restituzione. Il bronzo, ripescato casualmente al largo di Fano il 14 agosto 1964, da un peschereccio italiano, fu acquistato dal Getty Museum di Malibù nel 1977 per una cifra vicina ai 4 milioni di dollari. Uno dei tanti capolavori che arricchiscono le collezioni del museo californiano.
Lo scorso 3 dicembre la Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso dei legali del museo statunitense contro la decisione presa a giugno dal Giudice per le indagini preliminari di Pesaro, Giacomo Gasparini, di confiscare il bronzo. Ora le motivazioni della Cassazione sembrerebbero non lasciare dubbi sull’esito felice del lungo contenzioso. Il comportamento del Getty Museum, che acquistò la statua di Lisippo sulla base di pareri sulla sua lecita provenienza espressi solo dai consulenti del venditore, sarebbe stato improntato da “inspiegabile e ingiustificabile leggerezza”. Inspiegabile, dal momento che “l’autorevolissimo partner”, che aveva affiancato il Getty nella trattativa, il Metropolitan Museum di New York, si era sfilato nutrendo “perplessità”. Non solo. Dal Getty era ovvio esigere la “doverosa conoscenza della normativa italiana in tema di esportabilità e commerciabilità dei beni culturali”.
“Il successo italiano è completo, i grandi musei internazionali sanno che acquistare capolavori senza una trasparente carta d’identità può portare a pesanti sconfitte”, ha commentato a dicembre l’ex ministro per i Beni culturali, Francesco Rutelli. Daltra parte è evidente. “Qui non c’è in gioco solo la statua di Lisippo, ma tutto il patrimonio culturale, artistico, storico italiano”, come ha detto Tristano Tonnini, legale dell’associazione culturale marchigiana “Le Cento Città», che nel 2007 presentò l’esposto alla Procura di Pesaro e avviò il procedimento.
Ora la vicenda sembra giunta a conclusione. Insomma dovremmo essere giunti al termine, felice, della fiaba. Ma non si può non essere prudenti.
“Continueremo a difendere il nostro diritto al Lisippo. La legge e i fatti non giustificano la restituzione al governo italiano di una scultura che è stata esposta al pubblico a Los Angeles per quasi mezzo secolo… La statua non è mai stata parte del patrimonio culturale italiano. La scoperta accidentale da parte di cittadini italiani non la rende un oggetto italiano”. Le parole, dopo la sentenza della Cassazione lo scorso dicembre, di Lisa Lapin, vice presidente delle comunicazioni del Getty, inequivocabili. Non diversamente da quelle del direttore del J. Paul Getty Museum, Timothy Potts Getty, che a giugno 2017, a proposito della restituzione all’Italia dello Zeus in trono, diceva che “La decisione… da un lato prosegue la nostra pratica di collaborazione con il Ministero per risolvere questioni riguardanti la provenienza e la proprietà di opere della nostra collezione in maniera tale da rispondere a ogni nuova informazione disponibile e dall’altro lato rispetta la buona fede e la missione culturale di entrambe le parti”.
A questo punto anche Propp, lo studioso che ha individuato le diverse funzioni della fiaba, avrebbe avuto un dubbio. L’eroe protagonista alias l’Atleta di bronzo, supererà tutte le prove, pur sostenuto dai suoi aiutanti, e riuscirà “a tornare a casa per vivere felice e contento”?