Il sistema messo a punto dal Miur per le assunzioni nelle università divide. Perché se nelle intenzioni dichiarate dal ministro Marco Bussetti e dai suoi più stretti collaboratori vuole premiare gli atenei virtuosi, riducendo i costi insostenibili di quelli che gestiscono male le proprie risorse, secondo i detrattori non fa altro che favorire (ancora una volta) le università del Nord rispetto a quelle meridionali. Le novità arrivano da due distinti provvedimenti: l’emendamento inserito nella manovra che incrementa, a livello nazionale, le facoltà di assunzione nel biennio 2019-2020 e il decreto firmato il 29 dicembre scorso dal Miur sui criteri di ripartizione dei ‘punti organico 2018’, l’unità di misura utilizzata dal ministero per definire il numero di assunzioni che ciascuna università può effettuare ogni anno. Criteri che già in passato sono stati oggetto di aspre critiche da parte di sindacati e associazioni studentesche. Alessio Bottalico, coordinatore nazionale di Link Coordinamento Universitario, nel decreto ministeriale “ancora una volta emerge una continuità con il passato nelle modalità di distribuzione” e si alimentano “disuguaglianze tra Atenei del Nord e Centro-Sud del Paese”. Secondo il Miur, invece, non c’è dubbio che “dopo 12 anni tornano a crescere le assunzioni nelle Università e gli atenei virtuosi potranno andare ben oltre il normale turn over”.
COSI’ SI SUPERA IL TURN OVER – Nel suo discorso per l’apertura dell’anno accademico all’Università di Torino il leghista Giuseppe Valditara, capo dipartimento Università del Miur, aveva già parlato della necessità di aumentare il numero delle assunzioni. E proprio Valditara ha lavorato in prima persona all’emendamento inserito nella legge di Bilancio con cui si incrementano le normali facoltà di assunzione, pari al 100 per cento del turn over (come nel 2018), con ulteriori 220 punti organico nel 2019 e altri 220 nel 2020. Questi punti si aggiungeranno al piano straordinario previsto in manovra per l’assunzione di circa 1.500 ricercatori tipo b e la progressione di carriera dei ricercatori a tempo indeterminato, anche se la legge di Bilancio rinvia tutti gli ingressi al 15 novembre 2019. “Per ogni 20 persone che andranno in pensione ne arriveranno 27 – spiegano i dirigenti del Miur a ilfattoquotidiano.it – e se nel 2018 (senza i punti organico in più, ndr) si arriva al 100 per cento di turn over come media nazionale, bisogna ricordare che negli anni passati la percentuale è variata dal 25 all’80 per cento del 2017”. Lo stesso ministro Bussetti ha parlato di “una svolta”. “Si tratta – spiegano al Miur – di un emendamento, originariamente anche più ampio, che rappresenta una vera rivoluzione” e con il quale si premiano le università virtuose, quelle con una spesa di personale inferiore all’80% e un indicatore di sostenibilità economico-finanziaria superiore a 1.
NEL 2019 E 2020 ALMENO 440 ASSUNZIONI IN PIU’ – Di quante assunzioni si parla? Ogni dipendente corrisponde a un equivalente in punti organico, a seconda che si parli di personale docente o tecnico-amministrativo e del livello di inquadramento. Un professore ordinario corrisponde a un punto organico, un professore associato a 0,70 punti organico, un ricercatore varia da 0,40 a 0,50, mentre un tecnico-amministrativo da 0,20 a 0,65. Per tirare le somme, dunque, per quanto riguarda i punti aggiuntivi previsti per il 2019 e il 2020 parliamo di almeno 440 assunzioni in più, che valgono 25 milioni sul Fondo di finanziamento ordinario per l’anno in corso e altrettanti per il prossimo. Cinquanta milioni da dividere per aumentare le assunzioni delle università virtuose (dal 2019 con un indicatore di spesa di personale inferiore al 75% e un indicatore di sostenibilità economico-finanziaria superiore a 1,1). Ed è proprio qui che sorge il problema, nei criteri di ripartizione stabiliti nel decreto firmato da Bussetti.
IL SISTEMA DI RIPARTIZIONE – E la questione si pone già per il turn over del 2018. Come chiarito dal ministro dell’Istruzione nella nota con la quale ha annunciato la firma del decreto, infatti, sono 2.038 i punti organico messi a disposizione (in relazione ad altrettante cessazioni avvenute nel 2017), che corrispondono quindi a un turn-over del 100%. Le Università virtuose potranno superare il tetto massimo del 110% delle proprie cessazioni nell’attribuzione dei punti organico. Dopo aver assicurato a tutti gli atenei il turn over del 50%, il restante 50% di sistema è stato ripartito esclusivamente in proporzione al livello di virtuosità dei bilanci. Tra gli Atenei che trarranno maggiore beneficio da questa novità (e che potranno andare oltre il tetto del 110%) ci sono Bergamo (310%), Politecnico di Milano (237%), Milano Bicocca (186%), Varese Insubria (143%), Milano Statale (121%), Catanzaro (191%), Parthenope di Napoli (137%), Chieti Pescara (194%), Urbino (195%), Politecnico di Torino (138%), Torino (117%), Politecnico di Bari (129%), Piemonte Orientale (129%), Verona (132%), Venezia Ca’ Foscari (127%).
“CI GUADAGNA IL NORD” – Ma per quest’anno, non essendoci punti organico aggiuntivi, perché queste università vadano oltre il turn over occorrerà che scendano le percentuali di altri atenei. “Infatti, rispettivamente 55 e 85 punti organico del centro e del sud vengono trasferiti agli atenei del nord”, denuncia il coordinatore nazionale di Link Alessio Bottalico. “È come se l’equivalente di 280 ricercatori – aggiunge – da un anno all’altro abbandonasse gli atenei meridionali per essere trasferito nelle più ricche università settentrionali”. La questione è stata approfondita dal gruppo pubblico Roars (Return on Academic Research). Il blog degli accademici ricorda infatti che dal 2012 una norma prevista da un decreto-legge del Governo Monti ha tolto agli atenei con i conti in regola la facoltà di disporre del proprio turn over “prevedendo – spiega Roars – che i pensionamenti avvenuti in un ateneo A possano essere conteggiati come turnover di un ateneo B” qualora questa seconda università conti su “un bilancio ancora più solido del (pur virtuoso) ateneo A secondo un complicato algoritmo”. Meccanismo che non solo rappresenta “un unicum nella pubblica amministrazione”, ma “risulta ancora più odioso se si pensa che gli indicatori di bilancio dipendono in maniera significativa dalle entrate derivanti dalle tasse degli studenti”.
FAVORITO CHI TASSA DI PIU’ GLI STUDENTI – Un sistema che negli ultimi sei anni avrebbe avrebbe fatto dirottare “oltre 500 punti organico dal Centro Sud al Nord” e confermato dal nuovo governo. I pensionamenti di un ateneo possono dunque essere attribuiti a un’altra università. “L’unica novità è nelle clausole di salvaguardia – scrive Roars – Viene infatti eliminato ogni limite superiore al guadagno, a spese di altri atenei, di punti organico di un singolo ateneo, e portata al -50% (nel 2014 era -40%) la perdita massima del turnover di un ateneo virtuoso rispetto al turnover medio nazionale”. In questo modo non si elimina la distorsione per cui “atenei ‘virtuosi’ debbono accontentarsi di un turnover quasi dimezzato” rispetto alla media. Secondo Bottalico l’effetto è chiaro: poiché tra i vari criteri che premiano le Università più ricche vi è quello della contribuzione studentesca “per ottenere più punti organico bisogna tassare maggiormente gli studenti”. Il tutto nel Paese in cui “le tasse universitarie sono tra le più alte in Europa e gli studenti esonerati dal pagamento rappresentano solo il 13% contro il 32% della Francia e il 30% della Spagna secondo l’ultimo rapporto Eurydice”.
LA REPLICA DEL MIUR – A ilfattoquotidiano.it i dirigenti del Miur fanno sapere che, proprio per evitare queste distorsioni “mesi fa è stato adottato un decreto in base al quale viene aumentata la dotazione finanziaria per le università dove gli studenti pagano tasse più basse (al Sud come al Nord)”. Fonti del Ministero definiscono il decreto firmato il 29 dicembre “un provvedimento di equità” con il quale “non si è voluto in alcun modo favorire gli atenei del Nord”. L’obiettivo, invece, sarebbe quello di attribuire i punti organico alle università virtuose piuttosto che a quelle realtà dove “il personale è già più numeroso di quanto l’ateneo possa permettersi economicamente, tanto da essere arrivate in alcuni casi sull’orlo del fallimento oppure a diventare meri ‘stipendifici’ non più in condizioni di fare ricerca”. L’obiettivo, secondo la visione del Miur, è quello di arrivare a una situazione di equilibrio anche laddove oggi le situazioni finanziarie sono più complesse. Una scommessa, però, la cui riuscita dipenderà inevitabilmente anche dalla gestione finanziaria dei singoli atenei.