“Urla, minacce, schiaffi, sottomissione fisica e psicologica. In quei momenti vuoi solo decidere come, dove, quando e perché. In pratica tutto”. Luca (nome di fantasia), 41 anni, è uno dei settanta uomini violenti che dal 2011 a oggi hanno varcato la soglia del centro per uomini maltrattanti di Forlì. Un anno fa ha deciso di rivolgersi alla struttura e una volta a settimana incontra uno psicoterapeuta. Non è la prima volta che chiede aiuto: già lo aveva fatto in passato, altrove, ma senza ottenere i risultati sperati. Poi, con la fine della storia con la sua compagna, che non l’ha mai denunciato, ha deciso di riprovarci e si è rivolto al Ctm di Forlì. E potrebbe, ancora una volta non bastare. “Bisogna essere consapevoli, non basta il pentimento”, dice lui stesso a ilfattoquotidiano.it, salvo poi ribadire che “anche le donne hanno delle responsabilità”: parole, queste, che manifestano esattamente quella mentalità e quelle idee da combattere e sradicare perché alla base della violenza stessa.
In Italia sono migliaia gli uomini violenti: come l’ha definito l’Istat nell’ultimo report dal titolo “La violenza sulle donne”, si tratta di un “fenomeno ampio, diffuso e polimorfo, che incide gravemente sulla quotidianità”. A fine 2017, in Emilia-Romagna, erano 196 gli uomini ad aver chiesto aiuto a uno dei dieci centri in Emilia-Romagna, di cui solo quattro (Modena, Bologna, Parma e Rimini) a gestione pubblica. In Italia, sempre stando ai dati ufficiali di fine 2017, le strutture create erano 25. Numeri molto bassi a fronte della montagna di casi di violenza registrati: sono 31mila le denunce negli ultimi cinque anni presentate solo in Regione. In Italia, ogni tre giorni una donna muore per mano di un uomo e in un anno si contano oltre un centinaio di vittime di femminicidi.
Perché, allora, gli sportelli di ascolto per uomini stentano a riempirsi? “Il grande scoglio resta un sistema, il nostro, permeato dal machismo“, spiega a ilfattoquotidiano.it lo psicologo e psicoterapeuta del centro di Forlì Daniele Vasari. “Il problema è di tipo culturale: chi maltratta la propria compagna quasi sempre non riconosce di vivere un disagio e questo fa sì che difficilmente ci si rivolga a un centro spontaneamente”, aggiunge il collega Andrea Spada. “La maggior parte dei nostri utenti arriva spinto da mogli o compagne, o su suggerimento del proprio avvocato”. Ed è soprattutto tra questi ultimi che il tasso di abbandono è molto alto, “se le leve motivazionali non si accendono, dopo due-tre sedute ci si ritira”. Il percorso terapeutico, che si articola in sedute individuali settimanali con lo psicologo, mira “alla rivisitazione di stereotipi sbagliati sulla relazione uomo-donna – continua Spada – e in alcuni casi ha portato chi ha seguito la terapia a passare da un atteggiamento minimizzante circa le proprie azioni all’ammissione del proprio agito”.
Il percorso è molto lungo e complesso, come testimoniano le parole di Luca a ilfattoquotidiano.it. L’uomo riconosce la sua “debolezza” nel pretendere “rispetto” in modo violento, ma continua a colpevolizzare le donne. Un segnale molto pericoloso di una consapevolezza che non ha ancora raggiunto. “’Se non fai quello che dico, ti do uno schiaffo’ ripetevo alla mia compagna”, racconta Luca. ‘Ora te lo dico, la prossima volta te lo do’. Era debolezza in realtà, e senso di fallimento”, dice. “Lei non faceva nulla di male, ma chi agisce violenza pensa sempre che i propri scatti d’ira dipendano dagli altri”. A spaventarlo più di tutto, è stato “il senso di disagio” che provava quando stavo in mezzo agli altri. “Ogni volta che balzava alle cronache qualche fatto di violenza mi sentivo colpevole come se l’avessi commesso in prima persona”.
La compagna, che a lungo ha subìto le sue vessazioni, lo ha lasciato. Senza denunciarlo. Ora da un anno Luca è in cura a Forlì. “Vorrei dire a chi è un uomo maltrattante come lo sono stato io che ci si può sottrarre alla violenza, si può imparare a gestirla. Ma da soli non ci si salva, servono strutture e psicologi perché per cambiare bisogna diventare consapevoli, non basta essere pentiti”.
E proprio Luca, nell’intervista rivela che quella mentalità maltrattante per lui è ancora per molti versi intatta: “Vorrei dire alle donne – oggi più aggressive e sfacciate delle nostre madri e delle nostre nonne, un tempo sicuramente più educate – che, con tutti gli uomini violenti che ci sono in giro e che per varie ragioni non si fanno aiutare, può essere pericoloso approcciarsi a loro in maniera tale da ‘attivarli’. Non c’è bisogno di buttare a tutti i costi il cerino sulla tanica di benzina sol perché c’è questa rabbia o cattiveria che anche le donne hanno scoperto di avere”. Ed è qui che vengono al pettine tutti i nodi della questione. A fianco degli sforzi di riflessione, permane una sorta di “residuo fisso”, refrattario: una cultura intrinsecamente maschilista in cui albergano gli stereotipi più difficili da scardinare e di cui la violenza genere è il frutto malato. “Dall’uomo padrone siamo passati alla donna che si è ribellata” osserva Luca, con una considerazione che tradisce l’idea di una subalternità femminile stabilita ‘per natura’ e oggi sovvertita dai fatti. Ed è anche su aspetti come questi che si concentra il lavoro degli psicoterapeuti impegnati contro la violenza di genere. “Negli uomini cerchiamo di modificare la loro ‘diagnosi culturale’”, spiega appunto Vasari, psicologo e psicoterapeuta al Centro per uomini maltrattanti di Forlì. “Affermare che anche le donne sono violente è una delle giustificazioni più comuni che ci troviamo ad ascoltare nei nostri incontri, un modo per dire ‘non è solo un problema degli uomini, ma anche delle donne’. Intanto partiamo dall’uomo”.
Per le strutture dedicate agli uomini maltrattanti fondamentale è fare rete con i Centri antiviolenza (CAV) del territorio: “Sono interlocutori indispensabili per agire di concerto su autori e vittime di violenza”, continua Vasari. A Forlì il Ctm è convenzionato, infatti, con il Comune, il Centro Donna e i servizi sociali. “Se, durante un colloquio, un uomo ci dice che ha intenzione di tornare a casa e ‘fare quello che deve fare’ dobbiamo essere in grado di coordinarci con chi si prende cura delle donne e intervenire tempestivamente, oltre che per monitorare i risultati della terapia . È impensabile immaginare un Ctm slegato dal resto del territorio. Come a Isernia, dove siamo stati invitati per un incontro con gli studenti e un corso di formazione rivolto a operatori, salvo poi scoprire che di lì a pochi giorni avrebbe chiuso il centro antiviolenza perché non era stato rifinanziato”.
Già, i finanziamenti. Il 20 luglio 2017 è stato pubblicato sul sito del Dipartimento per le Pari Opportunità un bando, da 10 milioni di euro per attività contro la violenza di genere, che ha destinato una piccola parte delle risorse anche per progetti a supporto del cambiamento di uomini maltrattanti. “Noi ci finanziamo in maniera autonoma – spiega Spada – offrendo sedute di psicoterapia a prezzi calmierati, 35 euro l’ora. Abbiamo scelto di lavorare con gli uomini maltrattanti perché crediamo fortemente in questa causa, in cui investiamo gli introiti provenienti anche da altre nostre attività”.
“Bisogna puntare sulla crescita culturale, non sull’assistenzialismo”, conclude Vasari. “Per il futuro ci piacerebbe sovvertire la prospettiva per cui è sempre la donna che, in caso di violenza domestica, deve abbandonare la casa. Non ha senso. È l’uomo ad avere un problema e che, in questo caso, dovrebbe essere inserito in una struttura, non il contrario”.
Diritti - 5 Gennaio 2019
Violenza donne, parla un uomo in cura. Psicologo: “Problema culturale, non di raptus. Chi maltratta non lo ammette”
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“Urla, minacce, schiaffi, sottomissione fisica e psicologica. In quei momenti vuoi solo decidere come, dove, quando e perché. In pratica tutto”. Luca (nome di fantasia), 41 anni, è uno dei settanta uomini violenti che dal 2011 a oggi hanno varcato la soglia del centro per uomini maltrattanti di Forlì. Un anno fa ha deciso di rivolgersi alla struttura e una volta a settimana incontra uno psicoterapeuta. Non è la prima volta che chiede aiuto: già lo aveva fatto in passato, altrove, ma senza ottenere i risultati sperati. Poi, con la fine della storia con la sua compagna, che non l’ha mai denunciato, ha deciso di riprovarci e si è rivolto al Ctm di Forlì. E potrebbe, ancora una volta non bastare. “Bisogna essere consapevoli, non basta il pentimento”, dice lui stesso a ilfattoquotidiano.it, salvo poi ribadire che “anche le donne hanno delle responsabilità”: parole, queste, che manifestano esattamente quella mentalità e quelle idee da combattere e sradicare perché alla base della violenza stessa.
In Italia sono migliaia gli uomini violenti: come l’ha definito l’Istat nell’ultimo report dal titolo “La violenza sulle donne”, si tratta di un “fenomeno ampio, diffuso e polimorfo, che incide gravemente sulla quotidianità”. A fine 2017, in Emilia-Romagna, erano 196 gli uomini ad aver chiesto aiuto a uno dei dieci centri in Emilia-Romagna, di cui solo quattro (Modena, Bologna, Parma e Rimini) a gestione pubblica. In Italia, sempre stando ai dati ufficiali di fine 2017, le strutture create erano 25. Numeri molto bassi a fronte della montagna di casi di violenza registrati: sono 31mila le denunce negli ultimi cinque anni presentate solo in Regione. In Italia, ogni tre giorni una donna muore per mano di un uomo e in un anno si contano oltre un centinaio di vittime di femminicidi.
Perché, allora, gli sportelli di ascolto per uomini stentano a riempirsi? “Il grande scoglio resta un sistema, il nostro, permeato dal machismo“, spiega a ilfattoquotidiano.it lo psicologo e psicoterapeuta del centro di Forlì Daniele Vasari. “Il problema è di tipo culturale: chi maltratta la propria compagna quasi sempre non riconosce di vivere un disagio e questo fa sì che difficilmente ci si rivolga a un centro spontaneamente”, aggiunge il collega Andrea Spada. “La maggior parte dei nostri utenti arriva spinto da mogli o compagne, o su suggerimento del proprio avvocato”. Ed è soprattutto tra questi ultimi che il tasso di abbandono è molto alto, “se le leve motivazionali non si accendono, dopo due-tre sedute ci si ritira”. Il percorso terapeutico, che si articola in sedute individuali settimanali con lo psicologo, mira “alla rivisitazione di stereotipi sbagliati sulla relazione uomo-donna – continua Spada – e in alcuni casi ha portato chi ha seguito la terapia a passare da un atteggiamento minimizzante circa le proprie azioni all’ammissione del proprio agito”.
Il percorso è molto lungo e complesso, come testimoniano le parole di Luca a ilfattoquotidiano.it. L’uomo riconosce la sua “debolezza” nel pretendere “rispetto” in modo violento, ma continua a colpevolizzare le donne. Un segnale molto pericoloso di una consapevolezza che non ha ancora raggiunto. “’Se non fai quello che dico, ti do uno schiaffo’ ripetevo alla mia compagna”, racconta Luca. ‘Ora te lo dico, la prossima volta te lo do’. Era debolezza in realtà, e senso di fallimento”, dice. “Lei non faceva nulla di male, ma chi agisce violenza pensa sempre che i propri scatti d’ira dipendano dagli altri”. A spaventarlo più di tutto, è stato “il senso di disagio” che provava quando stavo in mezzo agli altri. “Ogni volta che balzava alle cronache qualche fatto di violenza mi sentivo colpevole come se l’avessi commesso in prima persona”.
La compagna, che a lungo ha subìto le sue vessazioni, lo ha lasciato. Senza denunciarlo. Ora da un anno Luca è in cura a Forlì. “Vorrei dire a chi è un uomo maltrattante come lo sono stato io che ci si può sottrarre alla violenza, si può imparare a gestirla. Ma da soli non ci si salva, servono strutture e psicologi perché per cambiare bisogna diventare consapevoli, non basta essere pentiti”.
E proprio Luca, nell’intervista rivela che quella mentalità maltrattante per lui è ancora per molti versi intatta: “Vorrei dire alle donne – oggi più aggressive e sfacciate delle nostre madri e delle nostre nonne, un tempo sicuramente più educate – che, con tutti gli uomini violenti che ci sono in giro e che per varie ragioni non si fanno aiutare, può essere pericoloso approcciarsi a loro in maniera tale da ‘attivarli’. Non c’è bisogno di buttare a tutti i costi il cerino sulla tanica di benzina sol perché c’è questa rabbia o cattiveria che anche le donne hanno scoperto di avere”. Ed è qui che vengono al pettine tutti i nodi della questione. A fianco degli sforzi di riflessione, permane una sorta di “residuo fisso”, refrattario: una cultura intrinsecamente maschilista in cui albergano gli stereotipi più difficili da scardinare e di cui la violenza genere è il frutto malato. “Dall’uomo padrone siamo passati alla donna che si è ribellata” osserva Luca, con una considerazione che tradisce l’idea di una subalternità femminile stabilita ‘per natura’ e oggi sovvertita dai fatti. Ed è anche su aspetti come questi che si concentra il lavoro degli psicoterapeuti impegnati contro la violenza di genere. “Negli uomini cerchiamo di modificare la loro ‘diagnosi culturale’”, spiega appunto Vasari, psicologo e psicoterapeuta al Centro per uomini maltrattanti di Forlì. “Affermare che anche le donne sono violente è una delle giustificazioni più comuni che ci troviamo ad ascoltare nei nostri incontri, un modo per dire ‘non è solo un problema degli uomini, ma anche delle donne’. Intanto partiamo dall’uomo”.
Per le strutture dedicate agli uomini maltrattanti fondamentale è fare rete con i Centri antiviolenza (CAV) del territorio: “Sono interlocutori indispensabili per agire di concerto su autori e vittime di violenza”, continua Vasari. A Forlì il Ctm è convenzionato, infatti, con il Comune, il Centro Donna e i servizi sociali. “Se, durante un colloquio, un uomo ci dice che ha intenzione di tornare a casa e ‘fare quello che deve fare’ dobbiamo essere in grado di coordinarci con chi si prende cura delle donne e intervenire tempestivamente, oltre che per monitorare i risultati della terapia . È impensabile immaginare un Ctm slegato dal resto del territorio. Come a Isernia, dove siamo stati invitati per un incontro con gli studenti e un corso di formazione rivolto a operatori, salvo poi scoprire che di lì a pochi giorni avrebbe chiuso il centro antiviolenza perché non era stato rifinanziato”.
Già, i finanziamenti. Il 20 luglio 2017 è stato pubblicato sul sito del Dipartimento per le Pari Opportunità un bando, da 10 milioni di euro per attività contro la violenza di genere, che ha destinato una piccola parte delle risorse anche per progetti a supporto del cambiamento di uomini maltrattanti. “Noi ci finanziamo in maniera autonoma – spiega Spada – offrendo sedute di psicoterapia a prezzi calmierati, 35 euro l’ora. Abbiamo scelto di lavorare con gli uomini maltrattanti perché crediamo fortemente in questa causa, in cui investiamo gli introiti provenienti anche da altre nostre attività”.
“Bisogna puntare sulla crescita culturale, non sull’assistenzialismo”, conclude Vasari. “Per il futuro ci piacerebbe sovvertire la prospettiva per cui è sempre la donna che, in caso di violenza domestica, deve abbandonare la casa. Non ha senso. È l’uomo ad avere un problema e che, in questo caso, dovrebbe essere inserito in una struttura, non il contrario”.
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Roma, 8 gen. (Adnkronos) - "Voteremo contro questa pregiudiziale". Lo ha detto in aula alla Camera il deputato di Azione Antonio D'alessio a proposito della riforma della giustizia.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "La separazione delle carriere è incompatibile con i principi della nostra Carta costituzionale e con gli obblighi che l’Italia ha assunto in ambito europeo. Il Ddl spezza l’unità della magistratura e la sua unitaria cultura giuridica. Il sistema giudiziario diviene così vulnerabile alle ingerenze della politica". Lo ha detto il deputato M5S Alfonso Colucci, capogruppo in commissione Affari Costituzionali, illustrando la pregiudiziale M5S di costituzionalità al Ddl per la separazione delle carriere.
"L’unità della magistratura non è, infatti, un mero aspetto organizzativo: è il presupposto fondamentale per garantire che tutti i cittadini siano veramente uguali davanti alla legge. Con questo provvedimento, invece, il Pubblico Ministero si allontana dalla unitaria funzione pubblica della giurisdizione e si trasforma progressivamente in "superpoliziotto", non sarà più parte disinteressata all’esito del giudizio: i cittadini perderanno così il proprio diritto al giusto processo nel quale il pubblico ministero ricerca la verità processuale e raccoglie le prove anche a favore dell’indagato", ha spiegato Colucci.
"Inoltre, il Pm finirà inevitabilmente più vicino alla polizia giudiziaria e, quindi, al governo di turno. Il cittadino comune sarà schiacciato dall’accusa mentre chi ha soldi e potere potrà salvarsi. E in effetti è quello che vuole il governo: una giustizia classista e non una giustizia eguale per tutti", ha spiegato ancora.
(Adnkronos) - "Da una parte, a favore dei potenti, si cancella l'abuso d'ufficio, si ridimensiona il traffico di influenze, si indeboliscono le intercettazioni, dall'altra si manda in carcere chi protesta pacificamente con la resistenza passiva. Inoltre, il testo proposto dal governo confligge con i principi europei che richiedono, all’opposto, di rafforzare la giurisdizione al fine della compiuta attuazione dello stato di diritto, per una giustizia davvero equa, imparziale ed efficiente. Dunque, parliamo di una riforma non solo incostituzionale, ma davvero pericolosa. Non è un intervento pensato per migliorare il funzionamento della giustizia ma per indebolire le garanzie dei cittadini", ha detto ancora Colucci.
Roma, 8 gen. (Adnkronos Salute) - Nella sua ultima revisione dei codici Ateco (nuovi codici delle attività economiche), l’Istat ha finalmente sciolto il nodo delle professioni sanitarie non mediche, finora riunite sotto un unico generico codice (89.90.29 ‘Altre attività paramediche indipendenti n.c.a’). Lo rende noto Fnopi, la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche specificando che il nuovo codice Ateco 86.94.01 ‘Attività infermieristiche’ è entrato in vigore con l’inizio del 2025. Le professioni, divenute intellettuali con la creazione degli ordini professionali del 2018 - con l’obbligo di laurea e di iscrizione all’albo per l’esercizio professionale - sono state quindi riclassificate, come chiesto dalla Fnopi.
Ateco è la classificazione delle attività economiche adottata dall’Istat per finalità statistiche, per la produzione e la diffusione di dati statistici ufficiali - spiega una nota - Viene inoltre utilizzata dall’Agenzia delle Entrate ai fini fiscali, quale, per esempio, la definizione della redditività del forfettario o, nel periodo pandemico, a selezionare quali attività potessero proseguire la propria attività nonostante il lockdown. I codici Ateco sono necessari ai professionisti che, al momento dell’apertura della partita Iva, devono indicare quale sarà la propria attività economica, scegliendo il codice che fa a loro riferimento. I nuovi codici Ateco 2025, che sostituiscono la classificazione del 2007 a partire dal primo gennaio 2025, dal primo aprile saranno utilizzati in tutti gli adempimenti di tipo statistico, amministrativo e fiscale, e sono adeguati alla classificazione europea Nace, nella sua Revisione 2.1. Non sono previste, al momento, sanzioni per chi non dovesse variare il codice, ma sarebbe importante rettificarlo laddove descriva meglio la propria attività.
Per questo risultato, Fnopi ringrazia l’Istat, ente che da sempre si è mostrato attento alle osservazioni e agli spunti offerti negli anni dalla Federazione su questo tema. Già nel 2020, infatti, la Fnopi metteva in evidenza la necessità di rivedere la classificazione della professione infermieristica, intellettuale e non tecnica, incontrando la disponibilità dell’Istat a tenere conto delle interlocuzioni con la Federazione nel momento in cui sarebbero partiti i lavori per la predisposizione della nuova classificazione che oggi è realtà e permette di compiere un ulteriore passo avanti nel riconoscimento della professione e come supporto anche all’attività libero professionale degli infermieri.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - Ha preso da poco il via, in aula alla Camera, l'esame della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata sulla riforma costituzionale della giustizia. A illustrare la pregiudiziale è il deputato M5s Alfonso Colucci.
Milano, 8 gen. (Adnkronos) - Anche il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, ha sospeso temporaneamente l'utilizzo dell'applicativo App per l'adozione e il deposito di atti, documenti, memorie e richieste nel processo telematico penale. "Ritenuto - si legge nel provvedimento - che sussistano criticità derivanti dall'immediata obbligatorietà del regime del binario unico relativamente a fasi processuali caratterizzate dall'assenza di un'adeguata sperimentazione e dalla mancata segnalazione della verifica della corretta gestione del flusso informatico" emerge "la necessità" di procedere gradualmente all'implementazione dell'applicativo App, ritenendo opportuno mantenere il regime del doppio binario (digitale e analogico) "almeno fino al 31 marzo 2025".
Roma, 8 gen. - (Adnkronos) - Come se non bastassero i successi di Tesla e SpaceX, lo sviluppo dell'intelligenza artificiale xAI, le migliaia di post su X o l'attivismo al fianco di Trump, Elon Musk può vantare adesso un nuovo titolo, per lui forse altrettanto appagante. L'imprenditore sudafricano infatti ha annunciato di essere diventato uno dei migliori giocatori 'al mondo' di “Diablo IV,” un videogame fantasy di impronta dark per il quale sembra avere davvero perso la testa. Di sicuro, vi ha perso centinaia di ore, spiega il Wall Street Journal, dal momento che per raggiungere il 150mo livello (partendo dal primo) serve una dedizione senza fine nel cercare elisir e abbattere mostri. Il tutto in appena 45 giorni.
Va riconosciuto che Musk è da sempre 'addicted' ai videogiochi e in un filmato su X ha mostrato la sua capacità di superare un livello difficilissimo di Diablo in meno di due minuti (contro le ore che servirebbero a un giocatore normale). A questa pratica il patron di Tesla peraltro attribuisce qualità che vanno oltre il semplice divertimento: "Si possono imparare tante lezioni di vita giocando alla massima velocità e alla massima difficoltà" ha scritto in un post su X. E va detto che Musk riesce a giocare al computer anche mentre porta avanti chiamate o riunioni di lavoro.
Perfidamente - riporta il WSJ - alcuni suggeriscono che Musk potrebbe avere pagato altri giocatori per superare i livelli più 'noiosi' di Diablo. Ma mancano le prove e - viste le ultime sortite di Trump (pienamente sostenute dal suo 'alleato') - viene soprattutto da chiedersi se, con Musk arrivato al livello top di 'Diablo', a Washington non si siano ultimamente appassionati di più a un 'Risiko' dove il posto della Kamchatka è stato preso da Canada e Groenlandia.
Roma, 8 gen. (Adnkronos) - Donald Trump, Joe Biden e ancora Donald Trump, ma al Quirinale sempre Sergio Mattarella, che sabato prossimo alle 13 riceverà il Presidente uscente degli Stati Uniti in visita di commiato. Un'occasione per ribadire che "l’Italia ha rapporti di amicizia e vicinanza tradizionali con Washington, maturati all’indomani della Seconda guerra mondiale con il generoso contributo alla ricostruzione offerto con il Piano Marshall e con il sostegno alla nostra democrazia, consolidatosi nell’Alleanza atlantica e in altri numerosi contesti delle organizzazioni internazionali".
Una linea che il Presidente della Repubblica ha sempre ribadito, a prescindere da chi fosse l'inquilino della Casa Bianca, perché, come affermò l'estate scorsa in occasione della cerimonia del Ventaglio, "rimango sorpreso quando si dà notizia o si presume che vi possano essere posizionamenti a seconda di questo o quell’esito elettorale, come se la loro indubbia importanza dovesse condizionare anche le nostre scelte". Senza però mai dimenticare, come sottolineò sempre Mattarella nel 2019 dopo l'incontro con Trump a Washington, quanto “dicevano i latini: ‘Amicus Plato, sed magis amica veritas’, più importante del mio amico è la verità”.
I prossimi mesi diranno come dal Quirinale verrà declinato concretamente questo orientamento, nel frattempo è il momento dei saluti con Biden, al quale verrà ribadito "il ringraziamento per l'apprezzato servizio e per la sua leadership", che il Capo dello Stato espresse sempre l'estate scorsa nelle giornate in cui il Presidente uscente degli Stati Uniti decideva di non ricandidarsi.
Per lui si tratterà della seconda visita al Quirinale, dopo quella del 29 ottobre del 2021 quando si trovava a Roma per il G20 presieduto dall'Italia. Si era nella fase finale della pandemia da Covid e in quella circostanza i due Presidenti si trovarono d'accordo nel sottolineare la necessità di garantire i vaccini ai Paesi più fragili. Una questione introdotta dal Capo dello Stato italiano e condivisa da quello statunitense, che evidenziò “l’ottimo lavoro" fatto dall’Italia sui vaccini. Non mancò il riferimento alla necessità di fare tesoro di quella esperienza di collaborazione internazionale realizzatasi con il Covid, in previsione di futuri possibili nuovi episodi di pandemia.
Un esempio citato più volte da Mattarella insieme alle tante emergenze mondiali da affrontare e risolvere attraverso la cooperazione e un rinnovato multilateralismo. A partire dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, entrati prepotentemente nell'agenda proprio pochi mesi dopo quell'incontro al Quirinale, con Italia e Stati Uniti impegnati nel supporto a Kiev e negli sforzi per la ricerca di una pace giusta e per la stabilizzazione delle varie aree di crisi.
Un contesto rispetto al quale Biden e Mattarella negli ultimi quattro anni si sono trovati d'accordo nel sottolineare la validità delle tradizionali alleanze, a partire da quella Atlantica, da declinare però in modo nuovo tenendo conto del mutato quadro geopolitico, con un Europa chiamata, come ripetuto più volte dal Capo dello Stato italiano, a dotarsi “degli strumenti di politica estera e difesa comune, naturalmente in collaborazione e con complementarietà con la Nato”.