La Brexit è ancora in vacanza: il voto del Parlamento britannico sull’accordo di recesso concluso dal governo con l’Unione Europea non ci sarà prima del 14 gennaio e, solo dopo il voto, si saprà se avremo un divorzio consensuale e ordinato oppure se, in caso di bocciatura dell’accordo, si procederà, come previsto dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea, con un divorzio caotico e imprevedibile.

Di sicuro c’è solo il fatto che, per legge, a partire dalla mezzanotte del prossimo 29 marzo (alle 23, ora di Londra), il Regno Unito non farà più parte dell’Unione Europea, a meno che, a livello politico, non accada qualcosa di eccezionale.

Intanto piovono dichiarazioni e rassicurazioni sull’ottimo livello di preparazione raggiunto dalle parti per essere in condizioni di affrontare le difficoltà connesse a una Brexit senza accordo. Per esempio il penultimo ministro per la Brexit, Dominic Raab, un paio di mesi fa, rivolgendosi ai partecipanti ad un convegno sul ruolo della tecnologia, aveva messo tutti al corrente di una sua recente scoperta: “Non me n’ero reso conto pienamente, ma se guardate il Regno Unito e guardate al nostro traffico merci, noi dipendiamo soprattutto dal collegamento marittimo Dover-Calais”.

La sua dichiarazione aveva fatto scalpore e suscitato commenti ironici, ma non è stata senza conseguenze. Pochi giorni fa si è saputo che, proprio per alleggerire il traffico sulla rotta Dover-Calais che, nel caso di controlli doganali, diverrebbe ingestibile, il governo prevede di attivare un secondo servizio di traghetti sulla rotta Ramsgate-Ostenda. Sono già stati presi accordi e firmati contratti con alcune compagnie, una delle quali, purtroppo, è risultata nuova del ramo e, al momento, anche inspiegabilmente priva delle navi traghetto tradizionalmente necessarie.

Alle perplessità del pubblico ha risposto però il ministro dei Trasporti, Chris Grayling, che, al programma di Radio 4, Today, ha rassicurato tutti: “Si tratta di una nuova start-up, il governo intende favorire le nuove attività e in questo non c’è niente di male”.

Eppure, anche di fronte alle ostentazioni di ottimismo, non tutti si sentono tranquilli in caso di no deal e, più che di ottimismo, sentono odore di incoscienza. Tra questi certamente i cittadini europei residenti in Gran Bretagna e i cittadini britannici residenti nei paesi Ue.

Una comunicazione della Commissione europea del 19 dicembre contiene una raccomandazione che li riguarda e che “esorta gli Stati membri a dar prova di generosità riguardo ai cittadini del Regno Unito che risiedono già nel loro territorio” mentre, nella comunicazione del 13 novembre, la Commissione si era compiaciuta del fatto che la Primo ministro Theresa May avesse assicurato che, anche in assenza di accordo, i diritti dei cittadini dell’Ue nel Regno Unito sarebbero stati tutelati in modo analogo. La Commissione si attendeva una formalizzazione di queste rassicurazioni che consentisse ai cittadini di farvi affidamento.

Da parte italiana “sono in preparazione misure legislative per un sostanziale mantenimento del quadro giuridico esistente per garantire che i cittadini britannici residenti al 29 marzo 2019 in Italia avranno riconosciuti i requisiti e il tempo necessario per chiedere e ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo disciplinato dalla Direttiva 2003/109/CE. In questo modo, essi potranno continuare a godere di diritti quali l’accesso a cure mediche, occupazione, istruzione, prestazioni sociali e ricongiungimento familiare”.

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