Mentre è atteso l’arrivo del decreto che comprende anche la riforma delle pensioni in Consiglio dei ministri, si definiscono i dettagli del reddito di cittadinanza, tra costi, requisiti, durata e sanzioni per chi froda. Una novità emersa dall’ultimo prospetto fornito da Palazzo Chigi è la presenza di incentivi all’imprenditorialità, ovvero per i beneficiari che riescono ad aprire un’impresa o un’attività di lavoro autonomo mentre stanno usufruendo dell’assegno. Rispetto invece al famoso Patto per il Lavoro, il primo da stipulare da chi riceve il RdC, oltre agli impegni da rispettare, viene previsto l’uso dell’assegno di ricollocazione, lo strumento introdotto dal governo Renzi e dall’allora ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, con l’obiettivo di aiutare le persone a trovare lavoro. Vengono delineati anche coloro che non hanno diritto al reddito. C’è la specifica che il RdC è compatibile con la Naspi, ma nel frattempo anche altri paletti, in particolare per i figli under 26 ancora a carico e per chi è disoccupato a seguito di dimissioni volontarie.

Incentivi all’imprenditorialità – Se un beneficiario o più beneficiari nel nucleo familiare aprono un’impresa o iniziano un’attività di lavoro autonomo, il nucleo riceve due mensilità di reddito a titolo di incentivo. L’evento va comunicato entro 30 giorni all’Inps, pena l’esclusione dal reddito. Questo è il primo esempio di incentivo all’imprenditorialità previsto. All’articolo 8 comma 4 della bozza di decreto, segnala Palazzo Chigi, viene poi aggiunto che al beneficiario che entro i primi 12 mesi di fruizione del RdC riesce ad avviare un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale spetta, in un unico pagamento, un incentivo pari a sei mensilità di reddito, nei limiti di 780 euro. Quindi un beneficiario che, ad esempio dopo 10 mesi di assegno, riesce ad avviare una propria attività, oltre ad aver già ricevuto i benefici per questi 10 mesi, riceverà un ulteriore unico bonifico pari a 4.680 euro, ovvero 780 euro moltiplicati appunto per sei mesi.

L’assegno di ricollocazione I beneficiari maggiorenni che non lavorano e non sono iscritti a corsi di studio o formazione, devono effettuare una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. È il cosiddetto Patto per il Lavoro. La novità è che trascorsi 60 giorni dalla data di dichiarazione, i beneficiari che non siano stato convocati dai Centri per l’impiego riceveranno dall’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro) in via telematica le credenziali personalizzate per l’accesso diretto alla procedura telematica per ottenere l’assegno di ricollocazione. Uno strumento introdotto con le prime sperimentazioni dal governo Renzi e rivelatosi finora un flop, sia per la scarsa adesione sia per la scarsa efficacia, come emerso dal caso di Almaviva. Ma, sostiene Palazzo Chigi, finora ne sono stati utilizzati solo 2mila perché non era obbligatorio ma facoltativo.

Nelle intenzioni del governo l’assegno di ricollocazione servirà a migliorare le possibilità di ricollocarsi nel mondo del lavoro. È un buono (voucher) che può variare da 250 a 5.000 euro per ricevere un servizio di assistenza intensiva da parte di un Centro per l’impiego o di un ente accreditato ai servizi per il lavoro, le Agenzie. Il servizio va richiesto entro 30 giorni dalla data di stipulazione del Patto per il Lavoro e prevede: l’affiancamento di un tutor, il programma di ricerca intensiva della nuova occupazione, lo svolgimento delle attività individuate dal tutor, l’onere per il beneficiario di accettare l’offerta di lavoro congrua, l’obbligo di comunicare all’Anpal il rifiuto ingiustificato, la sospensione del servizio nel caso di assunzione in prova.

Chi non ha diritto – Nel prospetto di Palazzo Chigi viene anche fornita la definizione di nucleo familiare e coloro che non avranno diritto al reddito. Inoltre, viene specificato che il beneficio è compatibile con la Naspi, l’indennità mensile di disoccupazione. Tornando invece al nucleo familiare, i figli maggiorenni che non convivono con i genitori fanno parte del nucleo familiare fino ai 26 di anni di età quando sono a carico dei genitori ai fini Irpef, non sono coniugati e non hanno figli a loro volta. Per esempio, gli universitari fuori sede con meno di 26 anni e ancora a carico non avranno diritto al reddito, se non a quello che spetta al nucleo familiare. Tra chi non avrà diritto c’è anche chi si trova in carcere, chi è ricoverato in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a carico dello Stato. E soprattutto, chi è disoccupato a seguito di dimissioni volontarie, nei 12 mesi successivi alle dimissioni. Quindi non è possibile licenziarsi per avere diritto al reddito di cittadinanza. Sono invece esclusi i casi di dimissioni per giusta causa.

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