Il buco miliardario emerso nei conti del 2013 dopo le ispezioni di Bankitalia. L’inchiesta sugli ex vertici tra cui Giovanni Berneschi, presidente di Carige per vent’anni, poi condannato a 8 anni e 7 mesi per truffa ai danni del ramo assicurativo dell’istituto e ora a giudizio anche per ostacolo alla vigilanza. Tre aumenti di capitale bruciati, per un totale di oltre 2 miliardi. La guerra per il controllo tra vecchi e nuovi soci finita con la vittoria della famiglia Malacalza, che a dicembre però ha detto no al nuovo aumento di capitale necessario per tenere in piedi la banca, scatenando le dimissioni a catena dei consiglieri fino alla decadenza del cda e al commissariamento deciso dalla Bce. In mezzo l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, che ha sottoscritto un prestito subordinato da 320 milioni di euro. Il decreto “Tutela del risparmio” varato lunedì sera dal consiglio dei ministri è l’ultima tappa di una crisi che ha origini lontane.
Le ispezioni Bankitalia e il tramonto dell’era Berneschi – Nel 2012 e 2013, quando il socio di maggioranza della banca era ancora la fondazione Carige, alcune ispezioni di Bankitalia hanno messo in luce criticità nella concessione di mutui e prestiti e nella valutazione dei crediti deteriorati, oltre che nella distribuzione dei poteri e nelle modalità di gestione di Berneschi. Che nell’autunno 2013 – dopo la consegna al procuratore capo di Genova della relazione degli ispettori di via Nazionale – è stato costretto alle dimissioni. Nel 2014 sarebbe stato arrestato con l’accusa di truffa all’istituto bancario e al suo comparto assicurativo Carige Vita Nuova e di successivo riciclaggio e reinvestimento dei profitti illeciti e lo scorso novembre è stato rinviato a giudizio per ostacolo alla vigilanza insieme all’ex direttore generale Ennio Lamonica, l’ex condirettore Daria Bagnasco e gli ex consiglieri Luca Bonsignore, Mario Venturino, Paolo Odone, Maurizio Marchiori, Ivo De Michelis, Remo Checconi e Alessandro Scajola. Il bilancio 2013 si è chiuso con un rosso di 1,78 miliardi anche a causa di corpose rettifiche (oltre 1 miliardo) sul portafoglio crediti.
I successivi aumenti di capitale (da 800 milioni nel 2014 e 850 nel 2015) hanno visto l’ingresso come primo azionista, inizialmente con il 10,5%, della famiglia Malacalza, salita poi a oltre il 20% dopo l’ulteriore ricapitalizzazione da 560 milioni del 2017. Tra la fine del 2017 e l’autunno 2018, in parallelo con la battaglia legale tra Vittorio Malacalza e l’allora ad Paolo Fiorentino, la banca già appesantita da sofferenze e incagli per oltre il 20% del portafoglio ha fatto i conti anche con un’emorragia della raccolta a medio e lungo termine.
La vittoria di Malacalza e lo stop al nuovo aumento – Durante l’assemblea del 20 settembre 2018 per il rinnovo del cda, lo scontro tra Malacalza e il finanziere Raffaele Mincione, a capo di un patto fra soci (tra cui il petroliere Gabriele Volpi e l’imprenditore della logistica Aldo Spinelli) con il 15,19% del capitale, si è risolto a favore dell’imprenditore classe 1937. Che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti conquistando sette degli undici posti in consiglio. Nel nuovo cda sono entrati Pietro Modiano (presidente), lo stesso Mincione, Lucrezia Reichlin (vicepresidente), Fabio Innocenzi (ad), Giulio Gallazzi, Bruno Pavesi, Stefano Lunardi, Salvatore Bragantini, Luisa Marina Pasotti, Francesca Balzani e Lucia Calvosa. Il 22 dicembre l’assemblea, con l’astensione di Malacalza, ha rinviato la decisione su un nuovo aumento di capitale da 400 milioni a dopo la presentazione di un piano di risanamento.
Uno strappo rispetto alla promessa di volere “fare la propria parte” nel piano concordato con la Bce, che aveva dato a Carige fino alla fine dell’anno per colmare il gap di capitale di secondo livello. La mossa ha portato alle dimissioni di Reichlin e Mincione seguite da quelle di Innocenzi, Modiano, Bragantini, Calvosa e Pavesi, con conseguente decadenza del cda. Nel frattempo la banca è stata salvata da un intervento del Fitd, il fondo creato dal sistema bancario per arginare le crisi, che ha sottoscritto un bond da 320 milioni in attesa di un’aggregazione con un altro istituto. Il 2 gennaio, l’Eurotower è intervenuta d’urgenza per normalizzare la governance decidendo per l’amministrazione straordinaria, con la nomina di una terna di commissari che ha visto la conferma di Innocenzi e Modiano – il cui piano gode del pieno sostegno della Bce – e l’inserimento del giurista Raffaele Lener.