I social network rappresentano il palco che si affaccia sulla piazza più grande che i politici di tutto il mondo abbiano mai avuto la possibilità di calcare per tenere un comizio. Un’opportunità straordinaria per raggiungere con i loro messaggi milioni di cittadini. Ma sono un palco sul quale non si può pensare di salire rifiutando poi il confronto e pretendendo di silenziare critici e oppositori semplicemente bandendoli dalla piazza.

E’ questo il senso della sentenza che rimbalza d’oltre-oceano pronunciata nei giorni scorsi da una Corte d’appello federale della Virginia.

La vicenda all’origine della decisione è uguale a migliaia di altre che di consumano quotidianamente in tutto il mondo, incluso naturalmente il nostro Paese: un cittadino posta sulla pagina Facebook del politico di turno alcune critiche e accuse al suo indirizzo e il politico di turno – la Presidente di un Consiglio di supervisori della Contea di Loudoun – per tutta risposta lo blocca, rimuovendo il post in questione e impedendogli di continuare a pubblicare contenuti sulla sua pagina.

Secondo la Corte d’Appello Federale impedire a un cittadino di pubblicare contenuti – anche critici o di denuncia – sulla pagina Facebook di un politico o di un pubblico ufficiale costituisce una grave violazione del primo emendamento ovvero della libertà di parola e informazione.

Se si sale su un palco – così come se si decide di usare i social network per la propria attività politica – si deve essere pronti ad accettare plausi e critiche allo stesso modo e non si dispone di altro strumento per resistere alle seconde che la parola, la dialettica e il confronto.

Salva, ovviamente, l’ipotesi nella quale critiche e accuse non trascendano in offese e diffamazioni ma, anche lì, i rimedi sono quelli offerti dalle leggi ovvero il ricorso ai giudici e non l’allontanamento coatto dei cittadini dai propri canali social.

È una decisione da tenere a mente specie con la campagna elettorale per le elezioni europee alle porte.

Ed è una decisione che negli Usa impensierisce il Presidente Trump che è sul banco degli imputati davanti a una altra Corte d’Appello per aver bloccato, su Twitter, migliaia di utenti rei solo di aver manifestato il loro disappunto per alcuni suoi cinguettii sopra le righe.

Qui il testo integrale della sentenza per i più curiosi.

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