Per la morte di Marco Vannini dev’essere condannata tutta la famiglia Ciontoli. Lo ha chiesto il procuratore generale della Corte d’appello di Roma Vincenzo Saveriano al termine della requisitoria del processo di secondo grado. Saveriano ha chiesto una pena di 14 anni per l’accusa di omicidio volontario in concorso. Marco Vannini, 20 anni, è morto alle 3,10 del 18 maggio 2015 a casa dei Ciontoli, a Ladispoli, a causa di un colpo d’arma da fuoco partito accidentalmente. Per ore tuttavia – per la Procura – i familiari di Ciontoli non chiamarono i soccorsi. In ogni caso in primo grado il solo Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina militare e padre della fidanzata di Vannini, era stato condannato a 14 anni per omicidio volontario, mentre la moglie Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico furono condannati a 3 anni perché la Corte d’assise derubricò l’accusa a omicidio colposo. Fu assolta, infine, Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli: il pg ha chiesto la conferma dell’assoluzione per la giovane che era imputata per omissione di soccorso. La Corte d’assise d’appello pronuncerà la sentenza a fine gennaio dopo l’intervento delle difese.
Secondo la ricostruzione dell’epoca, Marco Vannini si trovava in casa della fidanzata intento a farsi un bagno nella vasca, quando entrò Ciontoli per prendere da una scarpiera un’arma. Partì un colpo che ferì gravemente il ragazzo. Da quel momento, secondo l’accusa, si sarebbe verificato un ritardo “consapevole” nei soccorsi e le condizioni di Vannini si sarebbero aggravate, fino a provocarne la morte. “Questa vicenda – ha detto in aula il pg Saveriano – rappresenta un unicum nel panorama giurisprudenziale in tema di qualificazione giuridica del fatto. Quanto accaduto in quella casa non poteva non allarmare quei familiari. Marco chiedeva aiuto e si vedeva spostato per essere lavato e rivestito; pensate un po’ la sofferenza. Eppure Ciontoli dichiara prima che la vittima era scivolato, poi che si era ferito con un pettine; invece era stato sparato un colpo”. Il rappresentante dell’accusa ha poi rappresentato il suo convincimento “del coinvolgimento di tutti i familiari in questo episodio. E’ stata un’azione concertata. Questi soggetti hanno perso il lume della ragione, e nessuno ha detto che era stato esploso un colpo d’arma da fuoco. Forse Marco si poteva salvare. Hanno accettato il rischio per non fare emergere un fatto che al capofamiglia avrebbe potuto creare dei problemi. Si è trattato di una condotta illecita lontana da una condotta standard”.