di Francesco Pastore e Marco Pompili
Con la partenza del reddito di cittadinanza, ritorna l’attenzione su quello che i centri per l’impiego riusciranno a fare. C’è attesa per le politiche attive e per la capacità di queste ultime di accrescere l’occupabilità dei giovani e non solo. Una serie di studi recenti relativi alle politiche attive in diverse Regioni italiane, già ricordati in un precedente editoriale, ha consentito di raggiungere alcune conclusioni importanti. Le politiche attive funzionano soprattutto se prevedono un’attività sul posto di lavoro, poiché i giovani italiani hanno in media buone competenze di base, ma scarse competenze lavorative. Inoltre, funzionando poco e male i centri per l’impiego, contano molto i network di parenti e amici. La formazione sul posto di lavoro aiuta i giovani ad allargare il proprio giro di conoscenze.
In questo articolo riassumiamo i risultati principali di uno studio svolto di recente dagli autori per il programma Pipol della Regione Friuli Venezia Giulia. Auspichiamo che tutte le Regioni italiane promuovano studi di valutazione dell’efficacia del tipo di quello qui riassunto. Tali studi sono importanti per capire meglio come spendere in modo più efficace i fondi pubblici nelle politiche attive che restano purtroppo in Italia ancora a uno stadio infantile.
Il programma Pipol ha inizio nel 2014 e mette assieme i fondi relativi a diverse politiche attive del lavoro per sostenere le persone nella ricerca di un lavoro. La politica riguarda diverse fasce di popolazione. Ai partecipanti vengono forniti diverse misure, tra cui la formazione in aula o la formazione in azienda (tirocini). La valutazione mira a comprendere l’impatto di Pipol sull’integrazione lavorativa dei beneficiari. Lo studio adotta il cosiddetto approccio controfattuale: un gruppo di controllo viene estratto con caratteristiche molto simili a quelle di chi partecipa effettivamente al programma tra quelli che si sono iscritti negli anni 2014-16 ma che non ne hanno mai beneficiato.
Questo ci permette di controllare per due possibili forme di distorsione. La prima viene attribuita a differenze significative nelle caratteristiche (età, sesso, cittadinanza, istruzione, provincia di residenza e anche pre-programma di esperienza lavorativa) dei due campioni. Bisogna che i due campioni siano uguali, altrimenti, se chi partecipa al programma è più istruito e ha una maggiore occupabilità di chi non partecipa al programma, è ovvio che trovi più facilmente lavoro. Si può dire, in questo caso, che ha trovato lavoro nonostante il programma. Ma noi vogliamo capire se è proprio il programma che ha funzionato.
Al di là delle caratteristiche visibili e osservabili, contano anche quelle non visibili, come la motivazione. Magari chi partecipa è più motivato di chi non partecipa e questo spiega il suo successo, più che il programma. Per evitare questo problema, peschiamo il gruppo di controllo usando lo stesso pool di individui registrati nel programma. Ciò dovrebbe garantire che sono non meno motivati di chi ha effettivamente partecipato.
L’impatto netto di Pipol è pari al 5% in media: ciò significa che chi ha partecipato al programma ha una probabilità del 5% maggiore di trovare occupazione. L’impatto maggiore si riscontra in caso di tirocinio, mentre la formazione in aula è inefficace. Il tirocinio aiuta anche a trovare lavoro permanente (+3%). Ciò è coerente con il punto di vista di un mercato del lavoro giovanile in cui i giovani hanno eccellenti competenze teoriche, ma pochissime esperienze e competenze lavorative.
La formazione in aula non incide molto sull’occupazione, ma influenza la probabilità di sperimentare almeno un contratto di lavoro dopo il 2016. In altri termini, aiuta a riattivare il giovane o meno giovane, ma non sempre lo porta a trovare lavoro. Questi risultati sono in parte dovuti a un effetto catenaccio, cioè alla tendenza di coloro che frequentano programmi di formazione a rimandare gli sforzi nella ricerca di lavoro. I giovani restano chiusi nella formazione invece di trovare lavoro.
Il programma ha un impatto diverso per diversi tipi di destinatario e diversi tipi di intervento. L’impatto netto è maggiore nel caso delle donne, degli stranieri, dei giovani scarsamente istruiti. Alcune forme di formazione in aula, come quella finalizzata a ottenere una qualifica, hanno ancora un impatto netto positivo sulle opportunità di lavoro. Gli stage nel settore manifatturiero e delle costruzioni mostrano un impatto maggiore rispetto a quelli nel settore dei servizi, sebbene quest’ultimo stia registrando una maggiore espansione complessiva.
In poche parole, i nostri risultati suggeriscono che una politica attiva del mercato del lavoro funziona in modo più efficace in Italia, almeno nel breve-medio periodo, quando genera competenze legate al lavoro.