Proposta editoriale numero 24, la prima dell’anno.
Modalità per inviare: Titolo. Poi quattro mezze cartelle e cioè: Un incipit di 1000 battute, un brano scelto dall’autore di 1500 battute, altre 1000 battute per la biografia, 1000 battute infine di un’ipotetica quarta di copertina.In totale quindi 4500 battute spazi inclusi.Inviare a 4mezzecartelle@gmail.com.
Buona lettura e auguri a chi passa di qui.
La notte che mi ha insegnato a contare le stelle di Maria Patrizia Trevisan
Augusto conosceva a memoria ogni singola crepa dei marciapiedi, così come gli erano familiari buche, sassi, macchie multicolori e quelle strade che, insieme alle baracche di cartone che condivideva con alcuni compagni di sventura, erano la sua casa.
Era un barbone, un clochard; anche se avanti con gli anni, i suoi begli occhi azzurri facevano ancora un certo effetto quando li puntava dritti e sicuri su quelli del prossimo; i capelli, ormai bianchi, erano polverosi e ribelli e gli ricadevano pesanti sulle spalle e sulle folte sopracciglia.
Aveva quasi settant’anni ma era ancora pieno di energia e forza di volontà, a dispetto della lotta quotidiana che iniziava quando apriva tutti e due gli occhi. E non finiva mai.
Era capace di camminare per chilometri, sgusciando dai vicoletti del centro, stretto nel suo pastrano dal colletto di pelo rosso di coniglio. Tutto buchi e strappi, come la sua vita; si teneva disperatamente aggrappato a quel logoro indumento, unico bene materiale del tribolato viaggio terreno, insieme alla certezza di essere, nonostante tutto, una creatura fortunata.
Quello straccio logoro e inconfondibile era l’unico punto fermo della sua vita, lo accompagnava in tutte le stagioni, perché gli serviva per affrontare la vita randagia; siccome Augusto era molto alto, quel povero indumento riusciva a malapena a coprirgli le ginocchia.
Un breve estratto: La macchina a idroggggeno
“Ulisse, ringraziami che ho finito le munizioni, ringrazia anche la mia gamba matta e la schiena a pezzi, altrimenti per te e per la tua battutaccia non c’era scampo”.
“Barbone scontroso, è tanto che ti lamenti di questi dolori fastidiosi, è ora di farti vedere da un medico!” lo aveva rimproverato Augusto.
“Ma certo, adesso chiamo sul cellulare il primario del Policlinico e gli chiedo di riservarmi la suite dell’ospedale, perché arriva Peppo, il conte degli straccioni. Ma fammi il piacere! Ancora non lo hai capito che gente come me, come te, come noi, deve tenersi tutte le rogne e campare finché ce la fa e deve contare solo sulle proprie forze!” gli aveva urlato sconsolato Peppo.
“Invece di fare sempre il cane rabbioso, ascoltami, ti do un buon indirizzo per farti visitare; c’è una mia carissima amica che è dottoressa in un grande ospedale del centro, io ci parlo sempre al parco dietro la collina dove va a correre. Mi ha spiegato cos’è Internet e l’auto ad idrogeno, sa sempre dare i consigli giusti e trova una soluzione ai problemi di tutti i disgraziati che la cercano. Io la chiamo Santa Barbara e lei ride di gusto; non le ho mai chiesto niente per me, perché sono soddisfatto della mia vita, condivido la notte con gli amici e il giorno vivo e respiro la città. La salute, per il momento, mi assiste; domani vado al parco e le chiedo un aiuto per te” – aveva detto Augusto armato di buona volontà, sicuro di risolvere il problema di Peppo, dato che Barbara era una creatura buona che gli avrebbe dato il consiglio giusto.
“Augusto, ci spieghi anche a noi cosa è l’intarnet e la macchina a idroggggeno?” gli aveva chiesto Ulisse.
Quarta di copertina
Il romanzo spia in punta di cuore il mondo dei marciapiedi, sommerso, scansato, temuto, denigrato, a volte fatto oggetto di violenza gratuita. E delle sue vittime, i cosiddetti barboni.
Fra tutti spiccano l’ex alcolizzato Leone, l’ex prostituta Iris, l’ex nobile Manfredi ed un omone, Ulisse, con la mente di bambino liberato dal manicomio: sono tutti un “ex qualcuno” e non ancora vere e proprie persone nuove; poi ci sono Amelia dagli occhi verdi, una moglie oggetto di violenze quotidiane da parte del marito, come Violetta, Zaccaria, un “diverso” per la società ma non per i suoi compagni di sventura, Agata, una mamma che ha perso i figli e Margherita, una mamma che da figlio e nuora è stata buttata fuori da casa sua. Spunta anche il litigioso Peppo, che vuole vivere isolato da tutto e da tutti. Su di loro per fortuna vigila Augusto, un clochard buono e saggio, contornato da questo variegato gruppo di sfortunati accomunati da un passato, un presente, ma soprattutto da un futuro difficile; sopravvivono vicini nel sottoponte di una città metropolitana che li vorrebbe invisibili, combattono insieme e si supportano a vicenda, ognuno con le proprie debolezze e risorse.
E poi passano nella loro sfera di dolore meteore minori, ma non per questo meno importanti: Marietto, Alfonsina, Eraldo, Elvezio e Pina, Silvestro, Emilia, Gino e Palla di Pelo. E Samba. Nomi veri, ripresi dalla cronaca vera.
Note biografiche
Maria Patrizia Trevisan nata a Vicenza il 13 febbraio 1965. Abita a Roma da metà giugno 2005. Svolti vari lavori, fra i quali commessa, impiegata in varie aziende tra cui un’industria produttrice di cucine nell’ufficio estero. Giornalista pubblicista per sei anni, ha scritto per due quotidiani e un mensile locale, comunque poi la passione dello scrivere le è rimasta dentro al cuore. Attualmente è insegnante.
e-mail: cimmino.trevisan@alice.it