Duecento donne potrebbero essere liberate per decisione del nuovo governo messicano. Sono state condannate per omicidio quelle che hanno partorito un feto morto o che hanno avuto complicazioni ostetriche. Qualunque sia stata la causa della morte dei feti, a quelle donne non è stata concessa neppure una solida difesa legale. La maggior parte di loro arriva da zone rurali, è povera, fa parte di famiglie numerose e in un caso una detenuta spiega che non sapeva neppure di essere incinta dato che si sentiva bene. Lei ha perso il bambino nato di sette mesi e subito dopo deceduto. Questa amnistia però non risolve affatto il problema, dato che quel che servirebbe – e che le donne chiedono – è la depenalizzazione totale dell’aborto. La legge che in Messico criminalizza l’aborto risale al 2016 e in questi anni di assoluto regresso culturale abbiamo visto come il movimento femminista ha riempito le piazze per rivendicare il diritto all’aborto.
Alcune raccontano di essere state arrestate per un’interruzione di gravidanza nonostante siano state stuprate. Pur avendo denunciato lo stupro, però, il carnefice non viene perseguito e invece lei è destinata a scontare una pena che può raggiungere i dieci anni. Dieci anni di vita per aver cercato di ribellarsi alla sorte che gli era toccata.
L’America Latina in questi ultimi anni ha subito lo stesso regresso che ha colpito molte altre nazioni. Ricordiamo con dispiacere i viaggi del Papa in quelle zone e dunque le restrizioni dovute a un forte movimento antiabortista. Agli antiabortisti spetta prestigio e riconoscimento sociale e pensano perfino di essere vittime di femministe che spesso li hanno contestati.
Ma alle donne non è dato il diritto di ribellarsi. Ribellarsi allo stupro così come alla maternità imposta. La questione è diventata così grave che le femministe chiedono un censimento delle donne incarcerate per quella ragione. Al momento risultano circa 200 casi, ma è un dato parziale. Una delle tecniche usate è quella di obbligare le donne arrestate a firmare una confessione dicendo loro che poi saranno libere. C’è un divario culturale e linguistico tra i messicani del Nord e quelli del Sud, che parlano solo i dialetti locali risalenti ai linguaggi Maya. A loro non sono forniti interpreti e quindi firmano i documenti scritti in lingua spagnola senza comprendere quello che c’è scritto.
La criminalizzazione dell’aborto in Messico è sicuramente una conseguenza del fanatismo ultra cattolico che caratterizza la loro cultura. Non dimentichiamo che i corpi delle donne sono ritenuti oggetti da consumare e poi buttare nel deserto. I femminicidi sono tantissimi e tante lavoratrici vengono rapite, stuprate, torturate e poi uccise. Tante le lavoratrici e le loro figlie, una delle quali – per esempio – nell’ottobre scorso è stata uccisa perché le piaceva il calcio. Senza dimenticare le esecuzioni ai danni di donne – militanti, giornaliste, politiche – che hanno cercato di cambiare un po’ le cose. La condizione della donna è dunque conseguenza di una mentalità che grava su tutte le donne, obbligate a recitare copioni in cui i protagonisti sono gli stereotipi sessisti.
L’amnistia potrebbe allora essere un segnale di cambiamento, uno di quei segnali rinviati a donne che quando sono in piazza devono scontrarsi con la polizia, che è parecchio violenta. Se gli atti intimidatori dicono che le donne non devono uscire o interessarsi ad altro che non sia la riproduzione e il matrimonio eterosessuale non si può immaginare che in Messico vi sia una resistenza attiva che coinvolge ogni persona del Paese.
Nonostante le campagne di sensibilizzazione è chiaro che restano isolate molte donne che non sono in contatto con le militanti femministe. L’isolamento è un altro dei problemi che coinvolgono le donne della zona a Sud del Messico. Sono donne che sfilano compatte per difendere la terra, ma non fanno la stessa cosa per difendere la propria autonomia e autodeterminazione da un punto di vista di genere.
Quello che speriamo è che all’amnistia succeda dunque la depenalizzazione dell’aborto e poi la fine dell’omertà e dell’atteggiamento protettivo che lo Stato dimostra nei confronti di assassini e stupratori. Senza un cambiamento di questo tipo le donne rimarranno altrimenti soggiogate e mai libere di scegliere la vita che vogliono.
Eretica
Precari(A)
Mondo - 9 Gennaio 2019
Abortire in Messico significa carcere. Ora 200 donne sperano nell’amnistia, basterà?
Duecento donne potrebbero essere liberate per decisione del nuovo governo messicano. Sono state condannate per omicidio quelle che hanno partorito un feto morto o che hanno avuto complicazioni ostetriche. Qualunque sia stata la causa della morte dei feti, a quelle donne non è stata concessa neppure una solida difesa legale. La maggior parte di loro arriva da zone rurali, è povera, fa parte di famiglie numerose e in un caso una detenuta spiega che non sapeva neppure di essere incinta dato che si sentiva bene. Lei ha perso il bambino nato di sette mesi e subito dopo deceduto. Questa amnistia però non risolve affatto il problema, dato che quel che servirebbe – e che le donne chiedono – è la depenalizzazione totale dell’aborto. La legge che in Messico criminalizza l’aborto risale al 2016 e in questi anni di assoluto regresso culturale abbiamo visto come il movimento femminista ha riempito le piazze per rivendicare il diritto all’aborto.
Alcune raccontano di essere state arrestate per un’interruzione di gravidanza nonostante siano state stuprate. Pur avendo denunciato lo stupro, però, il carnefice non viene perseguito e invece lei è destinata a scontare una pena che può raggiungere i dieci anni. Dieci anni di vita per aver cercato di ribellarsi alla sorte che gli era toccata.
L’America Latina in questi ultimi anni ha subito lo stesso regresso che ha colpito molte altre nazioni. Ricordiamo con dispiacere i viaggi del Papa in quelle zone e dunque le restrizioni dovute a un forte movimento antiabortista. Agli antiabortisti spetta prestigio e riconoscimento sociale e pensano perfino di essere vittime di femministe che spesso li hanno contestati.
Ma alle donne non è dato il diritto di ribellarsi. Ribellarsi allo stupro così come alla maternità imposta. La questione è diventata così grave che le femministe chiedono un censimento delle donne incarcerate per quella ragione. Al momento risultano circa 200 casi, ma è un dato parziale. Una delle tecniche usate è quella di obbligare le donne arrestate a firmare una confessione dicendo loro che poi saranno libere. C’è un divario culturale e linguistico tra i messicani del Nord e quelli del Sud, che parlano solo i dialetti locali risalenti ai linguaggi Maya. A loro non sono forniti interpreti e quindi firmano i documenti scritti in lingua spagnola senza comprendere quello che c’è scritto.
La criminalizzazione dell’aborto in Messico è sicuramente una conseguenza del fanatismo ultra cattolico che caratterizza la loro cultura. Non dimentichiamo che i corpi delle donne sono ritenuti oggetti da consumare e poi buttare nel deserto. I femminicidi sono tantissimi e tante lavoratrici vengono rapite, stuprate, torturate e poi uccise. Tante le lavoratrici e le loro figlie, una delle quali – per esempio – nell’ottobre scorso è stata uccisa perché le piaceva il calcio. Senza dimenticare le esecuzioni ai danni di donne – militanti, giornaliste, politiche – che hanno cercato di cambiare un po’ le cose. La condizione della donna è dunque conseguenza di una mentalità che grava su tutte le donne, obbligate a recitare copioni in cui i protagonisti sono gli stereotipi sessisti.
L’amnistia potrebbe allora essere un segnale di cambiamento, uno di quei segnali rinviati a donne che quando sono in piazza devono scontrarsi con la polizia, che è parecchio violenta. Se gli atti intimidatori dicono che le donne non devono uscire o interessarsi ad altro che non sia la riproduzione e il matrimonio eterosessuale non si può immaginare che in Messico vi sia una resistenza attiva che coinvolge ogni persona del Paese.
Nonostante le campagne di sensibilizzazione è chiaro che restano isolate molte donne che non sono in contatto con le militanti femministe. L’isolamento è un altro dei problemi che coinvolgono le donne della zona a Sud del Messico. Sono donne che sfilano compatte per difendere la terra, ma non fanno la stessa cosa per difendere la propria autonomia e autodeterminazione da un punto di vista di genere.
Quello che speriamo è che all’amnistia succeda dunque la depenalizzazione dell’aborto e poi la fine dell’omertà e dell’atteggiamento protettivo che lo Stato dimostra nei confronti di assassini e stupratori. Senza un cambiamento di questo tipo le donne rimarranno altrimenti soggiogate e mai libere di scegliere la vita che vogliono.
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(Adnkronos) - "Il nostro governo - ha detto Meloni - sta lavorando instancabilmente per ripristinare il legittimo posto dell'Italia sulla scena internazionale. Stiamo riformando, modernizzando e rivendicando il nostro ruolo di leader globale".
"Puntiamo a costruire un'Italia che stupisca ancora una volta il mondo. Lasciate che ve lo dica, lo stiamo dimostrando. La macchina della propaganda mainstream prevedeva che un governo conservatore avrebbe isolato l'Italia, cancellandola dalla mappa del mondo, allontanando gli investitori e sopprimendo le libertà fondamentali. Si sbagliavano", ha rivendicato ancora la premier.
"La loro narrazione era falsa. La realtà è che l'Italia sta prosperando. L'occupazione è a livelli record, la nostra economia sta crescendo, la nostra politica fiscale è tornata in carreggiata e il flusso di immigrazione illegale è diminuito del 60% nell'ultimo anno. E, cosa più importante, stiamo espandendo la libertà in ogni aspetto della vita degli italiani", ha concluso.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - L'Italia è "una nazione con un legame profondo e indistruttibile con gli Stati Uniti. E questo legame è forgiato dalla storia e dai principi condivisi. Ed è incarnato dagli innumerevoli americani di discendenza italiana che per generazioni hanno contribuito alla prosperità dell'America". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac a Washington. "Quindi, a loro, permettimi di dire grazie. Grazie per essere stati ambasciatori eccezionali della passione, della creatività e del genio italiani".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".
(Adnkronos) - "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno. So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta".
"Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "So che con Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, non vedremo mai più il disastro che abbiamo visto in Afghanistan quattro anni fa. Quindi sicurezza delle frontiere, sicurezza delle frontiere, sicurezza energetica, sicurezza economica, sicurezza alimentare, difesa e sicurezza nazionale per una semplice ragione. Se non sei sicuro, non sei libero". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "C'è una crescente consapevolezza. C'è una crescente consapevolezza in Europa che la sicurezza è ora la massima priorità. Non puoi difendere la tua libertà se non hai i mezzi o il coraggio per farlo. La felicità dipende dalla libertà e la libertà dipende dal coraggio. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo fermato le invasioni, conquistato le nostre indipendenze e rovesciato i dittatori". Così la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
"E lo abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo orgoglioso combatte per la propria libertà contro un'aggressione brutale. E dobbiamo continuare oggi a lavorare insieme per una pace giusta e duratura. Una pace che può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".