La guerra contro la Francia di Emmanuel Macron e a favore dei gilet gialli, dichiarata da Luigi Di Maio (vicepremier, bis-ministro e capo del M5s), offre molti spunti di riflessione. Prima di tutto, il leader grillino non ha capito con chi ha a che fare: i francesi, al contrario degli italiani (per ragioni storiche che qui non è il caso di rivangare), si sentono Nazione sul serio. Magari si ghigliottinano a vicenda, ma guai se uno straniero osa mettere il naso nei loro affari interni. In virtù della presunzione – e grazie all’ignoranza (nel senso che ignora, tanto più sul fronte internazionale) – il giovane vicepremier ha trascurato quest’ultimo aspetto. Insomma, offrendo ai gilet gialli la sua “competenza”, nonché la “democrazia” farlocca basata sulla piattaforma Rousseau (è il colmo voler vendere un filosofo svizzero-francese ai francesi…), Di Maio “a marché dans une merde”, come amano dire a Parigi e dintorni; o come, diremmo noi, ha pestato una cacca. Perché ha sottovalutato l’ipotesi di ricevere una pernacchia anche da coloro che vorrebbe sedurre.
“Una proposta inattesa, sconveniente”: è stata infatti la reazione dell’ala moderata dei gilet gialli, che vorrebbe diventare un partito in vista delle elezioni europee. Non solo: “Quella del vostro vicepremier è un’ingerenza negli affari interni del nostro Paese”, ha detto Jacline Mouraud, focosa signora che lavora al progetto del partito, “Les Emergents“. “Davvero mi domando come sia possibile che un ministro italiano abbia bisogno di schierarsi contro un presidente di un Paese vicino”. Più favorevole a un dialogo con Di Maio è il camionista Eric Drouet, uno dei leader dell’ala dura. Intanto l’Eliseo, che ha ricevuto il sostegno della Commissione europea, ha fatto sapere che, se proprio Macron vorrà parlare con qualche italiano, lo farà con il premier Giuseppe Conte, mica con un vice che ricorre a “slogan a fini elettorali interni”.
Luigi Di Maio può anche sbattersene di Macron, inserito da tempo tra i cattivi. Ma non può trascurare la legnata da parte della Mouraud. D’altra parte, anche vari partiti francesi, dall’estrema destra all’estrema sinistra, hanno già cercato, invano, di piantare un loro bandierina sul movimento di protesta. Perché proprio Di Maio dovrebbe fare breccia? Il movimento francese ha molti limiti, soprattutto per quel che riguarda la possibilità di trasformarsi da variegata massa imbufalita a organizzazione in grado di arrivare alle leve del potere. Però di certo ai suoi esponenti più scafati non sfugge che la “democrazia diretta” in salsa grillina è in realtà una “monarchia indiretta” calata dall’alto, gestita in modo privato e poco limpido, nata per creare l’illusione che la base, attraverso il web, conti qualcosa. In realtà il M5s, pur avendo tratto la sua forza dai “vaffanculo” di massa, ha incanalato quella rabbia in un partito verticistico e poco democratico. Esattamente il modello contro cui si battono i gilet francesi, che voglio tutto fuorché essere omologati, tanto che – pure al loro interno – ogni sedicente portavoce è sconfessato, se non minacciato, da altri sedicenti portavoce.
Insomma, il vicepremier, prima di riprovare a sedurre i francesi incavolati, deve studiare un po’ di più e deve capire con quale delle tante anime (alcune gratuitamente vandaliche) vuole parlare. Però non può fare a meno di ritentare. Il motivo? Le elezioni europee sono alle porte e il M5s – già in calo in Italia, a favore della Lega di Salvini – nel futuro Parlamento dell’Ue rischia essere schiacciato dai leghisti e dai loro alleati europei di estrema destra. L’obiettivo del partito – tuttora controllato, più o meno a distanza, da Grillo e Casaleggio – è quello di mostrarsi (a Bruxelles e non solo) distinto dai sovranisti alla Salvini, il cui abbraccio lo sta soffocando. Quindi i pentastellati hanno bisogno di avere qualcuno, all’estero, che faccia da spalla.
Per ora, Di Maio incassa l’apertura di un paio di sedicenti capi del movimento francese (tra i meno rassicuranti…) e rilancia l’invito a marciare insieme. Ha detto in un’intervista a Il Fatto Quotidiano: “Sto formando un gruppo per le Europee. E nei prossimi giorni incontrerò anche alcuni dei gilet gialli. Intendo spiegare loro che gruppo vogliamo creare. Anche Davide Casaleggio ci supporterà mettendo a disposizione Rousseau (e daje…, nda)”. Poi, riferendosi a tre piccoli partiti: “Con polacchi e croati abbiamo quasi chiuso, mentre con i finlandesi contiamo di farlo in dieci giorni”. Per creare un gruppo politico autonomo dentro il Parlamento europeo servono come minimo 25 deputati provenienti da almeno un quarto dei Paesi che aderiscono all’Unione; nel 2014 i grillini ne avevano ottenuti solo 15, poi diminuiti dopo epurazioni e diserzioni.
Vedremo. Agli strateghi del M5s forse sfugge che la situazione che li ha portati al potere in Italia è già cambiata e che quella formula, già vecchiotta in patria, di certo non può essere venduta come nuova all’estero. Tanto meno entrando a gamba tesa in dinamiche sociali e politiche come quelle francesi, che con le nostre, al di là delle apparenze, hanno poco in comune. Di certo, il rischio dell’isolamento incombe. E lo sanno.