La Germania comincia a interrogarsi su quanto effettivamente solida sia la sua economia. L’ultimo dato che sta scalfendo le certezze tedesche arriva dalla produzione industriale: con un calo a novembre su ottobre dell’1,9% (mentre si attendeva appena un -0,3). Un crollo in termini statistici rispetto a un anno fa: –4,7 per cento. Numeri che fanno riemergere prepotentemente il rischio di una recessione tecnica, ovvero un Pil negativo sia nel terzo che nel quarto semestre 2018 che avrebbe effetti negativi su tutta la crescita europea. Un rischio che “è chiaramente aumentato”, dice a Faz Alexander Krüger di Bankhaus Lampe. Recentemente gli istituti economici hanno già rivisto al ribasso le previsioni di crescita: la stima per quest’anno è in media dell’1,5%. E dopo la prima pagina della Welt di ieri, martedì, che scacciava i timori di una recessione, oggi alcuni giornali cominciano a prendere sul serio i segnali dall’allarme. Su tutti Handelsblatt, il più importante quotidiano economico tedesco, che in un’analisi firmata da Bert Rürup, caporedattore della sezione Economia e presidente dell’Istituto di ricerca Handelsblatt, attacca apertamente il governo, colpevole di essersi adagiato “sulla ripresa” e aver rallentato il suo processo di riforma.

Quello che arriva dalla Germania non è ancora un allarme, né per i tedeschi né per tutta l’Unione europea. Molti dei fattori che hanno pesato sul dato della produzione industriale – che resta comunque il peggior calo anno su anno dalla fine della Grande crisi del 2009 – sono di natura temporanea. In particolare l’imbuto sulle immatricolazioni delle auto, rimaste ancora il settore trainante della locomotiva tedesca, causato dalla lentezza della certificazione in base alle nuove regole Ue. Ci sono poi lo spauracchio di una Brexit “disordinata”, ma soprattutto quello di un inasprimento della guerra commerciale tra Usa e Cina. I primi a beneficiare di un clima più disteso tra Donald Trump e Pechino sarebbero proprio i produttori di macchine tedeschi. Non a caso è di questi giorni l’annuncio da parte del ceo di Volkswagen di una “Vw sempre più cinese”.

Ma i timori di una recessione tecnica restano, seguiti da quelli più concreti di un’economia tedesca che va verso la fine del suo periodo d’oro. “Gli anni grassi sono finiti”, ha d’altronde ammesso lo stesso ministro delle Finanze, Olaf Schoz, domenica scorsa alla Bild. “Prima era solo una piccola ammaccatura, ora è una fase di seria debolezza“, scrive John Pennekamp, responsabile editoriale per la sezione economica della Frankfurter Allgemeine Zeitung, il quotidiano più vicino agli animi degli industriali e della borsa tedesca. Nel suo editoriale cita i pensieri di vari tra i più importanti economisti in Germania: “I dati di produzione di oggi hanno chiaramente aumentato il rischio di una recessione tecnica”. Una prima risposta la si avrà tra una settimana, con i dati sul Pil nel terzo trimestre 2018.

La Faz ricorda come non solo l’industria automobilistica stia soffrendo, ma anche edilizia, industria energetica e produttori di beni di consumo. Gli economisti tedeschi non si aspettano però scenari catastrofici, perché “non ci saranno impatti significativi sul mercato del lavoro” e l’industria in generale gode ancora di buona salute. È vero che i grandi istituti di ricerca economica hanno rivisto al ribasso le stime di crescita, portandola a circa l’1,5 per cento, ma, sottolinea Pennekamp, questo dato rappresenterebbe comunque il decimo aumento annuale consecutivo.

Tuttavia, la novità è che in Germania sta maturando una preoccupazione: arriveranno tempi economicamente più difficili. E, attacca Rürup sul Handelsblatt, “è tempo che il governo federale prepari la Germania per il prossimo decennio con tre autentiche riforme e per assicurarsi un posto rispettabile nei libri di storia”. Nella sua analisi sostiene innanzitutto l’importanza di rivedere la pressione fiscale sull’industria rispetto all’impianto stabilito nel 2001. “La Germania è oggi con circa il 30% a livello aziendale un paese con tasse elevate”, scrive. L’altra riforma a suo dire improrogabile è quella delle ferrovie, che hanno “bisogno di un nuovo inizio: la rete doveva essere trasferita a una società di proprietà federale e separata dalla ferrovia”. Infine, quello che da tempo è il più grande cruccio di Berlino: la mancanza di lavoratori qualificati. Rürup plaude la riforma di fine 2018 che ha facilitato l’afflusso di manodopera da Paesi non Ue, arrivata “in ritardo”, ma sottolinea l’importanza di un’ulteriore riforma del sistema scolastico: “Il nostro sistema educativo deve essere adattato alle esigenze di una forza lavoro multietnica e l’istruzione terziaria deve essere migliorata per i bambini migranti”, scrive. “Ci sono poche prove che la ripresa tedesca stia per finire”, conclude il giornalista del Handelsblatt, ma ciò ha “reso la politica lenta in termini di politiche di crescita”.

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