di Vera Cuzzocrea *

La mattina di martedì 8 gennaio 2019 i bambini e le bambine di una scuola dell’infanzia in Provincia di Roma, di una fascia di età compresa tra i tre e i cinque anni, fanno il loro ingresso in classe. Non trovano le loro maestre e nemmeno la bidella: sono state tutte arrestate all’alba dello stesso giorno e attualmente in custodia cautelare presso le loro abitazioni. Possiamo ipotizzare, anche leggendo alcune dichiarazioni, che gli stessi bambini, nei mesi precedenti, lamentassero di non voler andare all’asilo, piangendo, mostrando paura o riportando segni fisici anche sul volto, forse derivanti dai colpi che sarebbero stati inferti dal personale scolastico.

Insulti, strattonamenti, schiaffi, quotidiani e inspiegabili che si intrecciano ai giochi e ai forse sporadici momenti di serenità e benessere in un luogo che avrebbe dovuto essere sicuro, oltre che promozionale di una crescita sana per quei bambini ma anche per le loro famiglie. Ci sembra quasi di sentirli, di vederli, così come sono stati cristallizzati dalle telecamere posizionate dagli inquirenti. Chissà, magari nei mesi passati, saranno stati consolati e certamente rassicurati dai loro genitori, che senza sapere avranno talvolta minimizzato gli sporadici e talvolta presumibilmente poco chiari racconti dei figli, talvolta avranno invece temuto di enfatizzarli, come spesso accade, lasciandosi andare a mille dubbi e incertezze. Poi, alcuni genitori hanno ascoltato quel disagio e lo hanno segnalato alle forze dell’ordine permettendo quindi che emergessero i contorni di quella che nelle indagini viene definita una “sopraffazione sistematica”, purtroppo non isolata.

E tutto viene svelato, grazie alla prontezza degli inquirenti nel decidere di procedere con le intercettazioni ambientali: strumento fondamentale in questi casi per “fotografare” eventuali maltrattamenti subiti dalle vittime, troppo piccole per affidare solo alla loro testimonianza la rievocazione dei fatti. Fatti che speriamo possano dimenticare presto e sostituire a ricordi di gioco, di fiducia, di ascolto empatico. Cosa avranno provato quei bambini e quelle bambine nel non trovare più le persone che sembrerebbero averli quotidianamente maltrattati psicologicamente e fisicamente? Probabilmente molto stupore e soprattutto sollievo. Il sollievo che provi quando la tua “valigia degli attrezzi” è ancora mezza vuota, quando senti che c’è qualcosa o qualcuno che ti produce un malessere che non sai ancora ben decodificare né raccontare e quando questo qualcosa capita in un posto dove mamma e papà ti portano e ti dicono che farai tante cose belle.

Talvolta questo però non accade e non è un caso che capiti proprio in luoghi come asili o strutture residenziali che ospitano persone anziane e/o con gravi disabilità. Sono questi i luoghi in cui è maggiore la vulnerabilità di chi subisce gli abusi così come, di conseguenza, il margine di manovra di chi agisce le violenze, forte del potere percepito di disporre delle proprie condotte contro persone troppo poco competenti come testimoni dei maltrattamenti subiti. Ebbene, per restituire forza a queste potenziali vittime, fragili nel percepire o riferire gli eventi a cui sono esposte, evitarne sopraffazioni e violenze, al contempo valorizzando le tante e più realtà educative, sociali e sanitarie promozionali di benessere che operano invece con professionalità e competenza, si sta attualmente riflettendo sull’opportunità di prevedere l’obbligatorietà delle telecamere. Ma non solo.

Si discute anche su più ampie strategie di monitoraggio della qualità degli interventi e di valutazione delle qualità professionali e relazionali di chi vi opera. E’ attualmente di interesse il disegno di legge, il Ddl n. 897, recentemente approvato alla Camera, che prevede la definizione di un sistema strutturato di controllo non solo delle condotte poste in essere attraverso la videosorveglianza ma anche della qualità del personale che accede alle professioni educative e di cura attraverso una valutazione attitudinale, che guardi cioè anche in un’ottica promozionale alle competenze emotive e relazionali, troppo spesso trascurate ma necessarie. E noi psicologi e psicologhe su questo ci siamo, a rinnovare l’attenzione per questo aspetto fondamentale del saper essere e saper fare l’insegnante, nel restituire senso e fiducia a quei genitori e soprattutto a quei bambini che dopo il sollievo, oggi, devono sapere di potersi ancora fidare e affidare alle persone adulte e alle istituzioni, come d’altra parte noi tutti.

psicologa giuridica e psicoterapeuta

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