La “questione Corriere” fornisce la fotografia di quello che è il livello della famigerata “stampa libera” italiana. Tutto parte da una lettera di Ivo Caizzi, corrispondente da Bruxelles per il Corriere della Sera, presentata la vigilia di Capodanno al comitato di redazione “per verificare e valutare il comportamento del direttore Luciano Fontana nella copertura della trattativa tra Unione europea e Italia sulla manovra di bilancio 2019”. L’esposto di Caizzi parte dal titolo col quale il più grande giornale italiano apre il 1° novembre: Deficit, pronta la procedura Ue, con chiaro riferimento alla procedura di infrazione per deficit eccessivo.
Erano i giorni in cui il governo Conte trattava con la Commissione europea sulla legge di bilancio, cioè su quel 2,4% di rapporto deficit/Pil che tanto ha fatto discutere. Nessuno in quelle settimane sapeva se la Commissione stesse valutando o meno una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, anche perché il governo intratteneva coi commissari Ue colloqui serrati. Ma non solo. La procedura di infrazione può aprirsi solo dopo che uno Stato membro ha approvato la legge di bilancio, quindi a fine ottobre non esisteva ancora nessuna legge, che invece è stata approvata dal Parlamento in via definitiva solo il 29 dicembre.
La notizia apparsa sulla prima pagina del Corriere il 1° novembre viene dunque smentita dalla lettera di Caizzi, che si rivolge ai suoi colleghi mostrando lo stupore di come il giornale sia potuto uscire con una notizia che non c’era. Ma v’è di più. Caizzi mandava da Bruxelles notizie rassicuranti, come quella – ad esempio – che i governi più influenti, Francia e Germania in testa, avevano incaricato di mediare un compromesso con l’Italia sulla manovra. Contro la notizia (quella vera), si scatena Federico Fubini, che il 7 novembre verga a pagina 11 che “non c’è stato nessun passo verso un compromesso fra la Commissione europea e l’Italia, né alcun vero negoziato”.
Il taglio che Fubini dà nei suoi articoli è quello in cui l’Italia era isolata e in costante pericolo punitivo da parte della Commissione. Insomma, il solito copione: noi brutti e cattivi, l’Europa bella e buona. Ma Fubini si era scatenato contro il governo già nei giorni immediatamente successivi all’insediamento di Conte a Palazzo Chigi: infatti è ospitato nei talk show televisivi dove più volte ha pontificato a favore della Ue e dare addosso al governo del cambiamento. Non è da meno il direttore Fontana.
Non ce ne importerebbe niente se non fosse che tutto questo ha determinato un clima di nervosismo sui mercati tale da far impennare lo spread nell’ultimo trimestre, superando più volte i 300 punti base e mettendo a rischio la tenuta stessa dell’esecutivo. Possibile che la magistratura non faccia nulla? Possibile che si possa indagare il ministro dell’Interno per atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni e non si possa aprire un fascicolo sulle fake news del Corriere? Che fine ha fatto l’obbligatorietà dell’azione penale?
Siamo infatti di fronte a una vera e propria ipotesi di reato, cioè quella disciplinata dall’art. 656 del codice penale: “Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro”. La norma tende a tutelare l’ordine pubblico che, in effetti, a causa delle notizie false o tendenziose pubblicate sul Corriere, è stato minacciato.
L’Italia è un Paese privo di sovranità monetaria, se quindi il quotidiano col maggior numero di lettori pubblica notizie capaci di far impennare il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, l’ordine pubblico è certamente minacciato. Tanto più che lo stesso governo, se lo spread avesse raggiunto i livelli del 2011 e 2012, avrebbe rischiato di cadere, verificandosi in tal modo una lesione oggettiva del principio democratico.
La magistratura faccia dunque il suo dovere e avvii le indagini per verificare se sono stati commessi reati contro l’ordine pubblico. Diversamente, ci pensi la maggioranza M5S-Lega a istituire una Commissione parlamentare di inchiesta, così magari Fubini potrà finalmente fare chiarezza anche sui suoi rapporti con la Open Society Foundations di George Soros.
con la collaborazione di Giuseppe Palma