Vi ricordate la canzone Generale di Francesco De Gregori? Quella dove dice “La guerra è bella anche se fa male”? È un capolavoro di poesia contro la guerra, però mi sa che là fuori qualcuno pensa veramente che la guerra sia una cosa bella. E che se fa male, farà male a qualcun altro mentre loro – generali, presidenti e politici vari – la fanno dalle loro poltrone.
Non so cosa ne pensiate voi, ma le cose sembrano andare sempre peggio: bombardamenti, terrorismo, guerre locali, aumento delle spese militari, minacce da una parte e dall’altra e discorsi sempre più aggressivi. Sembrerebbe che siamo davanti a qualcosa che somiglia molto al periodo che poi portò alla Prima guerra mondiale, la Grande Guerra che all’epoca si diceva avrebbe messo fine a tutte le guerre.
Ma allora cosa ci aspetta? Il futuro, si sa, è sempre difficile da prevedere, ma possiamo perlomeno quantificarlo in termini di probabilità usando metodi statistici. Questo vale anche per le guerre e così io e i miei collaboratori, Gianluca Martelloni e Francesca di Patti, ci siamo messi ad analizzare i dati forniti dallo storico Peter Brecke, che riportano il numero dei conflitti e il numero di vittime nei passati 600 anni.
Abbiamo trovato che i conflitti non appaiono in modo casuale: seguono una legge che viene definita legge di potenza (power law). In pratica, questo vuol dire che esiste una certa relazione fra il numero di vittime e la frequenza delle guerre che le producono, con conflitti tanto meno probabili quanto più sono grandi. Abbiamo confermato su questo set piuttosto esteso i risultati che altri avevano trovato su altri set. In particolare, abbiamo confermato l’intuizione di Lewis Fry Richardson, fisico, meteorologo e pacifista, che era stato un grande pioniere in questo campo già negli anni Trenta.
Quando si trova una legge di potenza nei dati, abbiamo a che fare con un sistema “auto-organizzato”. È una cosa abbastanza comune: la si trova per esempio nei terremoti, nelle valanghe, negli incendi boschivi e in molti sistemi biologici. Non c’è troppo da stupirsi che la si trovi anche nelle guerre, ma questo ha una conseguenza: vuol dire che le guerre non sono il risultato di eventi particolari e nemmeno di leader particolarmente malvagi o aggressivi. Sono qualcosa di inerente alla struttura della società umana che si “auto-organizza” per crearle. In questo senso, abbiamo confermato anche un’intuizione che aveva avuto Lev Tolstoj nel suo romanzo Guerra e Pace, quando si domandava come fosse possibile che un singolo uomo chiamato Napoleone avesse potuto fare tanti danni. Concludeva che non era possibile e aveva ragione, anche se non aveva utilizzato modelli matematici per arrivarci.
Ma allora, vuol dire che le guerre sono inevitabili? Vuol dire che Guerra è sempre, come ricorda Gianni Riotta in un suo articolo su La Stampa dove cita Primo Levi? In un certo senso sì. Ma – attenzione – non dobbiamo concludere che la guerra è bella e magari è anche l’igiene del mondo, come dicevano i futuristi una volta. Assolutamente no: se è vero che le guerre sono come i terremoti e gli incendi, è anche vero che i terremoti e gli incendi non sono cose belle e nemmeno igieniche. Nel caso delle guerre, se riusciamo a capire che la guerra è una cosa inerente alla struttura della società umana, possiamo liberarcene soltanto costruendo delle strutture sociali che la impediscano o, perlomeno, la rendano difficile. In sostanza, la guerra è inevitabile soltanto se non facciamo nulla per evitarla.
Purtroppo, il problema è che al momento non stiamo facendo granché per evitare la guerra. Anzi, stiamo ritornando alle strutture, tipo Stati nazionali sovrani, che avevano generato la Prima guerra mondiale un secolo fa. Far crollare l’Unione europea che era stata creata con l’idea di evitare nuove guerre europee non sembra certo il modo migliore per evitare nuove guerre, ma è proprio quello che molti politici in Italia e in altri Paesi si sono impegnati a fare. E allora? E allora non ci resta che sperare che ci vada bene.