La Commissione ha messo nel mirino il regime fiscale garantito dai Paesi Bassi alla multinazionale in seguito alle rivelazioni dello scandalo 'Paradise Papers'. Secondo Bruxelles, due società della Nike grazie a 5 accordi fiscali avrebbero in gran parte eluso le royalties pagate in Olanda
La Commissione europea ha avviato un’indagine approfondita per determinare se il regime fiscale garantito dai Paesi Bassi a Nike possa aver fornito all’azienda un vantaggio indebito rispetto ai suoi concorrenti, in violazione delle regole Ue sugli aiuti di Stato.
La notizia arriva direttamente da un comunicato diffuso da Bruxelles che agisce in seguito alle rivelazioni dello scandalo ‘Paradise Papers‘, una montagna da 13,4 milioni di documenti trapelati, che ha alzato il velo su regimi fiscali di favore concessi alle multinazionali. L’inchiesta si concentrerà su due unità di Nike in Olanda che l’Ue sospetta che abbiano pagato una imposta “che potrebbe non riflettere la realtà economica”.
Secondo l’Ue, le due unità – Nike European Operations Netherlands Bv e Converse Netherlands Bv – impiegano infatti oltre mille dipendenti e sono coinvolte nelle vendite e nel marketing in tutta un’area che include Europa, Medio Oriente e Asia. A seguito di cinque accordi fiscali stipulati con le autorità olandesi, queste società avrebbero in gran parte eluso le royalties pagate nei Paesi Bassi, riducendo significativamente il reddito imponibile della Nike dal 2006.
“Gli Stati membri non dovrebbero consentire alle società di creare strutture complesse che riducano indebitamente i loro profitti imponibili e conferiscano loro un vantaggio sleale rispetto ai concorrenti”, commenta la commissaria Ue per la concorrenza, Margrethe Vestager, aggiungendo che “la Commissione indagherà attentamente sul trattamento fiscale di Nike nei Paesi Bassi”.
La commissaria ha allo stesso tempo precisato di accogliere con favore “le azioni intraprese dall’Olanda per riformare le loro norme sulla tassazione delle società e per aiutare ad assicurare che le società operino in condizioni di parità nell’Unione europea”.