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Dagli ortodossi ucraini a papa Francesco, per le Chiese lo scontro è fra nazionalismo e universalismo

di Riccardo Cristiano*

Sabato 5 gennaio il patriarca Bartolomeo ha firmato i Tomos che riconoscono l’autocefalia alla Chiesa ortodossa in Ucraina, attirandosi le ire del patriarcato di Mosca e di tutte le Russie. A Mosca infatti ritengono che quel territorio sia canonicamente sottoposto al loro patriarcato. Ma da Costantinopoli Bartolomeo ha risposto che la Chiesa abbraccia il popolo ucraino “come vera madre” sottolineando di aver sempre agito a servizio dei “desideri” e degli “interessi dei suoi figli”. Per spiegarsi, in un’occasione precedente, Bartolomeo aveva ricordato la tremenda storia dell’Ucraina sovietica, che patì il crimine dell’Holomodor, cioè “infliggere la morte attraverso la fame”, quando la collettivizzazione sovietica ordinata da Stalin determinò la morte di milioni di kulaki in particolare in Ucraina, il granaio sovietico.

Questa memoria è molto importante per capire il complesso rapporto tra fedeli ucraini e un patriarcato che si chiama “di Mosca e di tutte le Russie”. Viene così chiarito l’equivoco che tormenta la Chiesa ortodossa: anche questa è una Chiesa cattolica, cioè universale, ha un suo primus inter pares, il patriarca di Costantinopoli, e si organizza nei vari Paesi. Poteva lasciare gli ortodossi ucraini in una storia di rifiuto e che percepiscono ancora imperiale? L’attenzione moscovita ai fedeli russofoni è un ulteriore tassello che fa vedere il rischio di madre con figli e figliastri. La percezione che per Mosca come per la vecchia Curia romana l’unità sia un processo che parte dal centro per raggiungere e plasmare le periferie è evidente, mentre in Bartolomeo come in Francesco l’unità è un processo che parte delle periferie per dare senso al centro. Solo così può divenire reale la decisione con cui nel 1872 il sinodo panortodosso condannava specificamente come eresia il “filetismo”, cioè l’idea che la Chiesa dovrebbe essere divisa per linee etniche: “Denunciamo, censuriamo e condanniamo il filetismo, vale a dire, la discriminazione razziale e le dispute, rivalità e dissensi su basi nazionali nella Chiesa di Cristo come antitetico agli insegnamenti del Vangelo e ai sacri Canoni dei nostri beati Padri, che sostennero la santa Chiesa e, ordinando l’intera ecumene cristiana, guidandola alla pietà divina”. È la stessa visione ecclesiale che ha portato la Chiesa cattolica a non concedere in alcun caso la giurisdizione universale alle Chiese particolari.

Poche ore dopo questo importantissimo 5 gennaio, domenica 6 gennaio, Papa Francesco ha formulato un appello: “Da parecchi giorni 49 persone salvate nel Mare Mediterraneo sono a bordo di due navi di Ong, in cerca di un porto sicuro dove sbarcare. Rivolgo un accorato appello ai leader europei, perché dimostrino concreta solidarietà nei confronti di queste persone”. La scelta di Bartolomeo e l’appello di Papa Francesco hanno molto in comune. È noto un antico racconto rabbinico nel quale il rabbi chiede ai discenti quando si possa dire che cominci la fine della notte e cominci il giorno. Ricevute risposte non soddisfacenti risponde: “Quando guardando in volto un uomo qualunque tu vedi che è tuo fratello: perché se non riusciamo a fare questo qualunque sia l’ora del giorno, è sempre notte”. Parole molto simili a quelle che si ritrovano nella prima lettera di Giovanni: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello”.

Atto chiaramente ispirato alla necessità di amare “come vera madre” una Chiesa di 40 milioni di fedeli, non poche centinaia di migliaia come nel caso di altri Chiese che non hanno ottenuto l’autocefalia, il riconoscimento della Chiesa in Ucraina ha determinato reazioni che si cominciano a intravedere nel mondo ortodosso e difficilmente si può dubitare che la “fraterna” vicinanza già espressa a Mosca dalla Chiesa serba e da quella di Antiochia, cioè siriana, derivi da altro che da una piena adesione di quei governi alla politica del Cremlino. E cosa dice questo al cristianesimo ortodosso? Quale visione, quale cattolicità, cioè universalità, del messaggio ortodosso questo trasmette? La grande cattedrale di Banja Luka intestata allo Zar Nicola II appare l’araldo di un espansionismo che i patriarchi non possono ignorare. Ricordare il patriarca serbo Pavle, che sapeva condannare i crimini croati come quelli serbi aiuta a capire perché l’alleanza trono-altare non può che produrre una crisi dell’universalità del messaggio cristiano e del valore che una Chiesa ha per un Paese e per il mondo.

Questo vale anche nel nostro spazio. L’idea di un cristianesimo nazionalista, che si impossessa di simboli religiosi nel nome di quella che oggi si chiama l’ideologia del “prima i nativi”, passa facilmente dal nazionalismo che nega l’altro – come nel caso di Russia e Ucraina (per entrambi gli estremismi) – all’esaltazione della difesa dei poveri indigeni a discapito dei poveri stranieri, contestando a Papa Francesco un supposto favore per gli indigenti non della propria “nazione”, cioè nascita. Le due critiche sono affini. È la nazionalizzazione della solidarietà, che prescinde dalla effettiva solidarietà. Infatti l’opera degli enti caritativi cattolici non è certo rivolta ai soli asilanti, rifugiati o immigrati, ma a tutti coloro che sono nel bisogno, infatti se sono 197.332 le persone che nel 2017 si sono rivolte ai centri di ascolto Caritas collocati in 185 diocesi, di queste il 42,2% è di nazionalità italiana. Un tempo rivolgersi alle mense per i poveri era “difficile” per un italiano, oggi sono molti gli anziani italiani che si rivolgono alle mense della Comunità di Sant’Egidio, delle Piccole Sorelle dei Poveri, dell’Arciconfraternita del Ss. Sacramento e tante altre.

Il ritorno del nazionalismo ha numerose cause, tra le quali hanno primaria importanza le storture della globalizzazione reale e la fragilità sovente autocentrata delle agenzie internazionali. Così, nel suo recente discorso al corpo diplomatico, Bergoglio non ha condannato qualcuno, ha indicato come una globalizzazione sbagliata, non riguardosa delle differenze, abbia portato a mettere in pericolo conquiste importanti. “È la conseguenza della reazione in alcune aree del mondo a una globalizzazione sviluppatasi per certi versi troppo rapidamente e disordinatamente, così che tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna dunque prestare attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista ciò che è locale. Dinanzi all’idea di una ‘globalizzazione sferica’, che livella le differenze e nella quale le particolarità sembrano scomparire, è facile che riemergano i nazionalismi, mentre la globalizzazione può essere anche un’opportunità nel momento in cui essa è ‘poliedrica’, ovvero favorisce una tensione positiva fra l’identità di ciascun popolo e Paese e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto è superiore alla parte. Alcuni di questi atteggiamenti rimandano al periodo tra le due guerre mondiali, durante il quale le propensioni populistiche e nazionalistiche prevalsero sull’azione della Società delle Nazioni. Il riapparire oggi di tali pulsioni sta progressivamente indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale e di una progressiva marginalizzazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni”.

I conflitti, gli opposti, non vanno negati, ma governati per raggiungere un’unità pluriforme, che sa generare nuova vita. In un’intervista rilasciata a padre Antonio Spadaro, Papa Francesco ha detto: “L’opposizione apre un cammino, una strada da percorrere. Parlando più in generale devo dire che amo le opposizioni. Romano Guardini mi ha aiutato con un suo libro per me importante, L’opposizione polare. Lui parlava di un’opposizione polare in cui i due opposti non si annullano. Non avviene neanche che un polo distrugga l’altro. Non c’è contraddizione né identità. Per lui l’opposizione si risolve in un piano superiore. In quella soluzione però rimane la tensione bipolare. La tensione rimane, non si annulla. I limiti vanno superati non negandoli. Le opposizioni aiutano. La vita umana è strutturata in forma oppositiva. Ed è quello che succede anche nella Chiesa. Le tensioni non vanno necessariamente risolte e omologate, non sono come le contraddizioni”.

* Vaticanista di Reset