Vent’anni fa, l’11 gennaio del 1999, moriva Fabrizio De André. Il vuoto che ha lasciato dietro di sé, tanto sul piano culturale quanto su quello musicale – nessun cantautore, dopo De André, ha mai raggiunto De André – è stato in parte colmato dalla straordinaria eredità che ci ha affidato: i suoi dischi, le sue poesie. Ed è proprio da qui che, nella redazione de ilfattoquotidiano.it, abbiamo deciso di partire per costruire una sorta di omaggio a Faber: la condivisione, coi nostri lettori, di passi e frasi delle sue canzoni che riteniamo estremamente attuali. Anche 20 anni dopo la sua morte. Anche, addirittura (visto che la più “datata” che abbiamo scelto è La città vecchia) 54 anni dopo l’uscita di uno dei suoi primi 45 giri. Con l’intento di ricordarlo e con quello, certo, di riflettere. Riflettere sul presente, in quel retrobottega dell’anima di montaigneana memoria che De André scoprì tra le colline della Gallura, col filtro dei suoi occhi e con quello della sua infinita sensibilità.
Dall’elogio della solitudine di Anime Salve intese, in chiave etimologica, come “anime solitarie”, a un Inverno il cui senso, oggi, viene ribaltato e tradotto come non accettazione della sconfitta, rifiuto della perdita e, in ultima analisi, della morte; dalla resistenza delle minoranze di Quello che non ho (sardi, indiani, ma anche oppressi, in senso lato, da chi detiene il potere) ai figli della luna, gli omosessuali, a cui De André dedicò Andrea e che ancora oggi, purtroppo, subiscono discriminazioni; dall’urlo straziante di un padre che tiene tra le braccia il figlio ucciso dalle bombe di Sidùn (Libano) e che oggi potrebbe essere il teatro di guerra della Siria, alla piccola deviazione – che ci siamo concessi – di Duemila, dall’album Senza orario senza bandiera dei New Trolls, a cui Faber collaborò insieme all’amico e poeta Riccardo Mannerini.
Quello che vi chiediamo è di segnalarci, nei commenti, i vostri passi estratti dalle canzoni di De André che ritenete attuali. E, se volete, di spiegare perché.