Chiedevano il riconoscimento della subordinazione del rapporto di lavoro. Un’istanza che in primo grado, lo scorso giugno, era stata respinta per tutti e 5 i rider della multinazionale tedesca Foodora. Ma ora la decisione è stata ribaltata dai giudici della Corte d’Appello di Torino, che hanno accolto il ricorso per una parte sostanziale e hanno sancito il diritto dei ricorrenti ad avere una somma calcolata sulla retribuzione stabilita per dipendenti del contratto collettivo logistica-trasporto merci. Quindi con tredicesima, ferie e malattie pagate. Respinta invece la richiesta di riconoscere la sussistenza del licenziamento discriminatorio. I giudici hanno condannato la società a rifondere una parte delle spese di lite, fissate in circa 11mila euro per il primo grado e 10.400 per il secondo. “Non possiamo non dirci soddisfatti – ha commentato Giulia Druetta, uno dei legali degli ex fattorini Foodora -. La sentenza dimostra che non eravamo dei pazzi quando affermavamo che queste persone avevano dei diritti. È la conferma – ha aggiunto – che i diritti esistono“.
In aula l’avvocato Sergio Bonetto, un altro legale dei ricorrenti, aveva detto: “Questa azienda è riuscita nell’impresa di costruire un meccanismo tale per cui questi fattorini venivano pagati meno di quello che, all’epoca, era la metà del corrispettivo di un voucher per lavoro occasionale. Una miseria. Sulla carta la gestione dei collaboratori da parte di Foodora era leggerissima e deregolata. Nella pratica era piena di obblighi“. Al contrario i legali dell’azienda hanno ribattuto che “si trattava di prestazioni a intermittenza che non possono essere ricondotte nella disciplina del lavoro subordinato. In azienda, peraltro, operavano dei fattorini impiegati in questa forma; e ad alcuni dei ricorrenti erano stati proposti dei contratti analoghi”.
Sul fronte politico, soddisfatti della sentenza anche il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali e il capogruppo di Leu alla Regione Piemonte, Marco Grimaldi. “Finalmente il giudice ha riconosciuto alcune semplici verità – hanno detto – chi è diretto e organizzato da un datore che trae profitto dalla sua fatica, è un lavoratore, a tutti gli effetti subordinato. Altro che lavoretti. Questo è un passo importante per il sacrosanto riconoscimento dei diritti di persone che nel nome di una falsa modernità di fatto sono e sono stati i nuovi schiavi del terzo Millennio”