Il crollo della produzione industriale è la spia di “un problema che investe tutta l’Europa, non solo l’Italia che comunque ha i suoi”. E la causa principale, partendo dalle guerre commerciali tra Usa e Cina per finire alla Brexit e alle prossime elezioni Europee, è “l’incertezza”. Un'”incertezza normativa che frena gli investimenti e che resterà tale anche nel 2019“, spiega a ilfattoquotidiano.it Fedele De Novellis, macroeconomista e curatore del rapporto Congiuntura Ref: “Non è tanto un discorso di politiche valutate come migliori o peggiori, quanto che non si sa più quale direzione verrà presa”. La frenata italiana e di conseguenza quella europea sono il riflesso di un contesto internazionale meno positivo, non solo per l’aumento dell’incertezza, tra guerre tariffarie e tensioni finanziarie, ma anche per le difficoltà dei Paesi emergenti, spiega la nota congiunturale di inizio anno di Ref.ricerche. “Naturalmente gli ultimi dati hanno ulteriormente aggravato questo quadro: ci si aspettava che andasse male, va ancora peggio“, ammette De Novellis. Ma dietro all’andamento di novembre 2018 “potrebbero esserci anche alcuni fattori stagionali“, quindi “non bisogna farsi prendere dal panico“.
Il primo segnale di allarme lo ha dato la Germania, quando l’8 gennaio sono stati diffusi i dati sulla produzione industriale della locomotiva tedesca a novembre 2018: -1,9% rispetto a ottobre, un crollo in termini statistici rispetto a un anno fa (-4,7 per cento). A quel punto “sono diventati prevedibili” tutti gli altri, dice De Novellis: ovvero il -1,3% su base mensile della Francia, seguito dal -1,6% dell’Italia e dal -1,5% della Spagna. Poco migliori i dati arrivati dalla Gran Bretagna, dove la produzione è scesa dello 0,4%, sempre su base mensile. Dati che non erano attesi in questi termini, anche se i segnali “erano già presenti“, spiega il curatore del rapporto Congiuntura Ref in cui si segnalava come, sulla base dei dati riferiti ancora ai primi dieci mesi, le maggiori economie dell’area sarebbero passate da tassi di crescita della produzione industriale compresi fra il 3 e il 4 per cento nel 2017 a incrementi nel migliore dei casi poco sopra l’1 per cento nel 2018.
Cosa aspettarsi quindi nel 2019? Non una recessione, ma “un quadro di forte rallentamento che in Italia porterebbe verso una crescita zero. Nelle nostre previsioni noi rimaniamo su valori positivi: per l’eurozona ci aspettiamo una crescita poco sopra l’1%, per l’Italia nello specifico tra lo zero e l’uno per cento”, risponde De Novellis. Quello che non cambierà è il clima di incertezza già protagonista della frenata rilevata in questi giorni. “Anche nel 2019 il tema rimane questo. Veniamo da una stagione in cui, piacesse o meno, le politiche economiche rimanevano all’interno di un’impostazione mainstream – afferma l’economista – Dal 2016, con la Brexit, abbiamo invece la sensazione che il processo politico possa determinare scelte di policy tra le più varie, giuste o sbagliate che siano. Una serie di politiche che avremmo escluso dal novero delle possibilità, adesso diventano possibili. Qual è il punto: a parità di valori attesi, aumenta l’incertezza”.
Incertezza e dazi – Il primo elemento che ha avuto un peso nel 2018 e lo avrà anche nel 2o19 nel frenare la produzione industriale europea è stato l’inizio della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. Nel breve periodo, i dazi introdotti da Donald Trump hanno avuto l’effetto di contrarre gli investimenti delle multinazionali. Anche in questo caso, spiega De Novellis, a provocare il rinvio degli investimenti non sono state le tariffe già esistenti, quanto l’incertezza sulle possibili tariffe future. “Se non so quali dazi verranno introdotti, io investitore attendo. Non è che non farò più nulla, ma magari aspetto qualche mese per vedere cosa succede”. E “se tutti rinviano gli investimenti – continua l’economista – la domanda di macchinari frena”. “Chi è il Paese che produce più macchinari nel mondo? La Germania. Chi è il secondo? L’Italia. Diventa così chiaro che la disputa Cina-Stati Uniti si è tradotta in uno choc particolarmente marcato per i tedeschi e per il nostro Paese che produce anche prodotti intermedi per l’industria teutonica”, analizza De Novellis.
Incognita Brexit – La politica dei dazi introdotta da Trump è quindi esemplificativa dell’incertezza odierna: “Ci sono Paesi che non sono stati toccati dalle tariffe ma nei quali non si investe più. Perché anche se non è cambiato nulla, potrebbe cambiare“. Tanto basta. Lo stesso discorso può essere applicato all’Europa, specialmente guardando ai mesi che verranno. “Basta pensare al fatto che non sappiamo ancora come andrà avanti la Brexit“, sottolinea De Novellis. “È ovvio – per l’economista – che chi deve investire in Inghilterra non lo fa manco per sogno. Dice: ‘Aspettiamo un attimo e vediamo che succede’”. Così come gli investitori che prima sapevano quali politiche aspettarsi dall’Unione europea, oggi attendono l’arrivo delle elezioni Europee senza sapere quali risultati aspettarsi e quindi quale direzione prenderanno le politiche monetarie e fiscali.
La domanda globale – Tornando invece alle motivazioni della frenata di fine 2018, dopo l’incertezza un’altra causa è da ricercare nell’indebolimento del ciclo internazionale. La domanda globale ha rallentato bruscamente dopo l’accelerazione del 2017. E all’origine ci sono le difficoltà dei Paesi emergenti che “sono andati in crisi per il cambiamento della politica monetaria americana“. De Novellis cita Turchia, Argentina, Venezuela: le loro crisi sono “conseguenza dell’aumento dei tassi da parte della Fed“. Perché le difficoltà dei Paesi emergenti sono concausa del crollo della produzione industriale europea? Per due ragioni. “Da una parte frenano la domanda internazionale“, risponde l’economista, “dall’altra parte, svalutandosi, ci fanno concorrenza“. “Così l’Europa va in difficoltà su alcuni mercati. Se, per esempio, un Paese emergente che produce tessile si svaluta, non si riescono più a vendere abiti italiani in Usa”, spiega De Novellis.
Il settore auto – A pesare notevolmente sull’andamento negativo di novembre 2018 è stato infine il settore auto, così in Germania come in Italia. Da una parte “c’è stata a mio parere una frenata generale della domanda”, afferma l’economista. Il ciclo dei beni durevoli starebbe infatti per esaurirsi, come evidenziato anche ad esempio dall’inversione di tendenza della produzione nel settore dell’arredamento e non solo in quello automobilistico. In più, per quanto riguarda le quattro ruote, una parte del rallentamento è da attribuire all’imbuto sulle immatricolazioni causato dalla lentezza della certificazione in base alle nuove regole Ue. “Le normative ambientali hanno certamente contribuito alla crollo della produzione nel settore auto”, dice De Novellis. “Questo aspetto in particolare, come altri, è occasionale, quindi la frenata in questo senso va circoscritta“. “Altri fattori invece sono più sostanziali“, conclude il macroeconomista. Quello che resta è l’incertezza.