Servono a questo i palchi, tutto sommato. A usarli in modo utile ai più, a dire quel che c’è da dire avendo la certezza di essere ascoltati e magari anche applauditi, oltre che a essere criticati e vilipesi. Claudio Baglioni che dice la sua non canta e non gli passa. Anzi, assume finalmente quel ruolo che ogni artista dovrebbe ricoprire: guida di un Paese passato da un uomo (che si credeva) solo al comando a un Giano bifronte dalle percezioni – tra loro – ostinate e contrarie.
Ha predicato, Claudio Baglioni. Ma non in rima e non a suon di musica. Ha detto la sua, che è quella che non va bene, e ha gettato una luce fosca su un oscurantismo di ritorno che ci sta facendo odiare gli uni gli altri. Questo va male, questo non si fa.
Chiede una visione, il due volte direttore artistico dell’unica manifestazione che compatta il Paese: Sanremo. Perché la visione è quel che manca. E anche, a dirla tutta, una certa sensibilità che siamo andati smarrendo. Via via, lentamente, nel silenzio di chi avrebbe potuto dire e non ha detto. Nell’aver osservato politiche di respingimenti evidenti e concordati. Perché mica ce lo siamo dimenticati, Marco Minniti e quelle navi che tornavano verso Tripoli con la mezzaluna bella in vista, vero? Ed era la sinistra, bellezza.
Che cosa è successo adesso è facile riassumerlo. Chi dovrebbe pensare solo alle canzoni, ai cantanti e alle vittorie dei futuri vip, chi non ha dimenticato le sue radici e quella piazza della periferia romana di Centocelle che lo ha lanciato, ha osato dire la sua mettendo a nudo la cattiveria che trasuda da strade e piazze. Tanto caos per poche decine di persone che andavano e sono state aiutate: questo in sintesi il messaggio di Baglioni che ha richiamato alla concretezza rispetto alla solidarietà elargita, a fronte di notti e notti passate in mare da migranti respinti. E allora? Che cosa avrebbe detto di male Baglioni? Usciamo dall’ennesimo Natale in cui chi vuole essere onesto ammetterà che tra brindisi e feste varie abbiamo incontrato e sopportato un numero uguale, se non superiore, di gente che a stento frequentiamo durante l’anno. Ma lì va bene, lì è giusto perché parliamo di famiglia e di parenti.
Tutto sommato Baglioni ci ha ricordato che cos’è davvero questo Paese alla soglia dell’anniversario tondo del crollo del muro di Berlino: 30 anni fa venivano abbattute barriere, oggi si innalzano divieti e nell’indifferenza lasciamo a mare chi, messo in fila, è poco più numeroso di una tavolata tra amici.
Tra l’altro Baglioni non parla a caso, perché lui di azioni concrete ne ha fatte eccome, con il progetto O’ scià di Lampedusa. E chi nell’isola siciliana ci è stato, soprattutto in occasione degli anniversari del grande naufragio del 3 ottobre, può testimoniare quanto amato sia.
Forse disturba e dispiace pensare che il ricciolone che timido andava diretto al pianoforte e mormorava di “quella sua maglietta fina” sia oggi uno che non solo alza ascolti e richiama ospiti ma addirittura dice la sua, che è – o potrebbe essere – quella di un Paese intero. Disturba perché quello che ha detto lui lo pensano in molti, ma non molti hanno un microfono e la possibilità di farsi ascoltare.
Tutto sommato Baglioni ha fatto un richiamo all’ordine dicendo un’ovvietà. Ma è un’ovvietà che si andava dimenticando, nel clamore generale del presunto sforzo fatto. Dispiace solo registrare un fratto, da cronista: che sappiamo per filo per per segno la reazione politica che le sue parole hanno suscitato (compreso l’invito a lasciar fare chi deve fare). E attenzione, è giusto che le reazioni si registrino: perché chi decide di parlare da un palco deve essere pronto a prendersi repliche e critiche. Ma dai titoli non sappiamo, e questo è un limite di noi che facciamo informazione, quali siano le reazioni di chi è d’accordo con lui. Soprattutto non sappiamo quanti siano. E i numeri, si sa, in politica sono importanti.