Per il contestatissimo leader, rieletto con il 70% dei voti in elezioni considerate antidemocratiche dall'opposizione, un avvio difficile. Pochi gli alleati. Tra questi i leader di Ossezia del Sud e Abkhazia, stati non riconosciuti dall'Onu
Per la Costituzione, il libertador Simon Bolivar, per Hugo Chavez, i venezuelani, Dio onnipotente e per costruire il socialismo del XXI secolo: su questo ha giurato a Caracas Nicolas Maduro il 10 gennaio, nell’iniziare il suo secondo contestatissimo mandato come presidente del Venezuela che durerà fino al 2025. La cerimonia si è svolta in un forte clima di tensione per le critiche formulate nei suoi confronti a livello internazionale, disertata da moltissimi capi di governo che considerano illegittima l’elezione del delfino di Chavez. Anche se nelle scorse elezioni di maggio ha vinto con il 70 per cento dei voti, l’opposizione antichavista non aveva partecipato perché non le riteneva democratiche.
Così Maduro ha giurato e ricevuto la fascia presidenziale dal presidente del Tribunale supremo di giustizia (Tsj), Maikel Moreno, davanti ad un pubblico amico guidato solo da 4 su 19 presidenti sudamericani, cioè quelli di Cuba, Bolivia, El Salvador e Nicaragua. Assenti anche le delegazioni europee e degli Stati Uniti. Gli unici capi di governi presenti, non del continente americano, sono stati quelli dell’Ossezia del Sud, Anatoli Bibilov, e dell’Abkhazia, Raul Khajimba, due stati non riconosciuti dall’Onu, e i vicepresidenti di Bielorussia e Turchia, con cui Caracas ha rafforzato le relazioni negli ultimi tempi.
In rappresentanza di Pechino e Mosca, che Maduro considera suoi grandi alleati, c’erano solo il vicepresidente del Consiglio della Federazione dell’Assemblea federale russa e il ministro dell’agricoltura cinese. L’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) ha approvato una risoluzione – 19 voti a favore, 6 contrari, 8 astenuti e un assente – in cui “non riconosce la legittimità del nuovo mandato di Nicolas Maduro” come presidente del Venezuela. Il Paraguay ha addirittura rotto le relazioni diplomatiche con il paese, mentre altri, come Argentina, Cile, Colombia, Ecuador, lo hanno criticato ufficialmente. Posizioni a cui l’erede di Chavez ha risposto ribadendo che la sua “elezione è un passo di pace per il nostro Paese”, e ricordando, con un libretto della Costituzione venezuelana in mano, che “in 19 anni si sono svolte in Venezuela 25 elezioni, di cui noi ne abbiamo vinte 23″.
Maduro ha aggiunto: “Abbiamo tenuto il 15 agosto 2004 il primo referendum revocatorio della storia elettorale mondiale, vinto ampiamente dal presidente Hugo Chávez”. Ha tuttavia rinnovato un invito a far prevalere il dialogo “sull’intolleranza ideologica delle destre, di cui noi siamo una delle vittime”, proponendo un vertice speciale per discutere e arrivare ad un accordo “che permetta di maturare e superare questo clima dannoso per il nostro continente”. Non ha risparmiato frecciate neanche all’Unione Europea, colpevole di “non vedere di buon occhio il popolo, i movimenti sociali e sindacali” e invitandola a rispettare “il Venezuela una volta per tutte, o un giorno la storia sarà testimone dei tuoi errori”, mentre ha elogiato il movimento francese dei gilet gialli, che gli ha regalato un gilet. “Magari fonderemo una sezione dei gilet gialli in Venezuela, perché siamo i ribelli del mondo”. Chi invece non ha mancato di esprimergli il suo sostegno è stato Diego Armando Maradona, che su Instagram gli ha dedicato un messaggio: “Non hanno potuto con Fidel, non hanno potuto con Hugo e tantomeno con te, il Venezuela vincerà!”. Di sicuro la cerimonia per l’investitura di Maduro ha mostrato in modo inequivocabile l’isolamento del Venezuela a livello internazionale. Molti paesi nutrono incertezza sull’efficacia del suo governo, messo in difficoltà dalle sanzioni imposte dagli Stati Uniti che nel 2018 hanno causato perdite da lui stimate in 20 miliardi di dollari.