Cesare Battisti è stato ideatore e responsabile morale dell’attentato di suo padre Pierluigi, gioielliere, nel 1979. E durante la stessa sparatoria lui è stato ferito, perdendo l’uso delle gambe. Da allora Alberto Torregiani è su una sedia a rotelle e da anni si batte per l’estradizione del terrorista dei Pac. Anni di speranze, delusioni e impegno in prima persona chiedendo “giustizia, non vendetta”. “È fatta. Credo sia la volta buona”, ha detto Torregiani all’Ansa una volta saputo dell’arresto di Battisti a La Cruz, in Bolivia. “Forse davvero è una buona giornata. Non oso pensare che ora possa trovare un escamotage. Sarebbe da scriverci un libro”. Ora, dice, è “impossibile che non venga estradato in Italia” e il premier Conte ha già riferito che un aereo è partito per la Bolivia, dove atterrerà intorno alle 17.
“Tecnicamente è un fuggiasco, non coperto da nessuno status particolare. È un latitante – ha aggiunto – e non ha più benefici. Quindi credo che nell’arco di 48 ore, una settimana al massimo sarà in carcere in Italia. Non penso i brasiliani abbiano tanta voglia di tenerselo”. Torregiani spiega ancora all’Ansa di dovere metabolizzare la notizia dell’arresto, che doveva “succedere anni fa”. “Sono talmente esausto di questa storia che adesso sono svuotato”, ha detto. “Sono fiero – sottolinea – del lavoro fatto in famiglia, della determinazione, senza pretese ma con rispetto, con cui abbiamo chiesto giustizia. Urlare, in altre situazioni, è sembrata l’unica cosa giusta ma noi non lo abbiamo mai fatto”. “Più tardi proverò sollievo e felicità – conclude dopo una notte insonne, quasi si sentisse cosa stava succedendo -. Adesso prendo almeno quattro caffè e mi metto a lavorare”. Alberto infatti si sta occupando di FaPi, Fare Ambiente Piano Invalidi, realtà che si impegna per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
E oltre a Torregiani, su Radio Capital interviene anche Maurizio Campagna, fratello di Andrea, l’agente ucciso da Cesare Battisti il 19 aprile 1979 a Milano. Si dice “scettico” sul rientro di Battisti perché è convinto che “se è andato in Bolivia qualche motivo ce l’ha. Sono contento – ha detto – però la Bolivia credo sia uno di quei paesi che non concede estradizione, quindi adesso vorrei capire se ricomincia la tiritera del 2004 con la Francia, speriamo questa volta venga estradato”. E Adriano Sabbadin – figlio di Lino, ucciso da Cesare Battisti a Santa Maria di Sala (Venezia) il 16 febbraio del 1979 perché ritenuto colpevole, da un commando dei Proletari Armati per il comunismo, di essersi difeso nel corso di una rapina – esclude di perdonare il terrorrista. “Di perdono non se ne parla, è una parola che deve imparare Cesare Battisti. È un momento di soddisfazione dopo 40 anni di attesa – aggiunge Adriano – speriamo che sia la volta buona e che Battisti finalmente sconti la pena che merita“.