Roberto Calderoli si è congratulato oggi per l’arresto del brigatista rosso Cesare Battisti. “Oggi ha vinto lo Stato – ha detto Calderoli – ha vinto la giustizia, hanno vinto le istituzioni e hanno vinto tutti i cittadini”. Più che apprezzabile il plauso del senatore della Lega alle istituzioni e alla giustizia, proprio nel giorno in cui la giustizia (il Tribunale di Bergamo), ancorché in primo grado, lo ha condannato alla pena di un anno e mezzo per diffamazione con l’aggravante razziale.
Era il luglio 2013 quando Calderoli alla festa della Lega Nord di Treviglio diede dell'”orango” all’ex ministro del governo Letta Cecile Kyenge. Due anni dopo il Senato deliberò che le opinioni del senatore erano “espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni” e, dunque, “insindacabili”.
Il 23 marzo scorso la Corte costituzionale ha accolto il ricorso del Tribunale di Bergamo che su questa deliberazione aveva sollevato il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e ha pertanto annullato l’insindacabilità. Le opinioni espresse da Calderoli, secondo il pronunciamento della Consulta, non avevano “alcun nesso funzionale con l’esercizio dell’attività parlamentare”. Per questa ragione Calderoli, sulla base della Legge Mancino che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan che incitano alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali è finito sotto processo.
Articolo21 in quell’occasione lanciò una petizione su Change.org dal titolo #iostoconCecileKyenge per chiederne le dimissioni, quantomeno, da vicepresidente del Senato raccogliendo oltre 184mila firme. “Le sue battute – scrivevamo nella raccolta di firme – sono la spia di una sub cultura razzista per troppo tempo accettata o derubricata a ‘eccessi verbali’. Nelle sue parole, come sempre, traspare l’odio per la ministra Kyenge, che ha il doppio torto di essere donna e di non avere la pelle bianca. Questa spirale va ora stroncata”.
Se la giustizia ha vinto (sul caso Battisti) sono certo che il senatore della Lega esprimerà lo stesso giudizio (sul caso Calderoli).