Paese che vai, storia che trovi. È questo più o meno il senso delle conclusioni con le quali l’avvocato generale della Corte di giustizia Maciej Szpunar ha suggerito ai giudici europei di decidere che quando Google disindicizza un contenuto in accoglimento di una richiesta di “oblio”, il contenuto in questione deve divenire inaccessibile, via Google, dall’Europa ma non anche dal resto del mondo.

L’Europa non può decidere – è la posizione dell’avvocato generale – a quali contenuti i cittadini del mondo intero abbiano o non abbiano diritto di accedere, perché si tratterebbe di un’ingerenza sproporzionata nelle regole globali sulla libertà di informazione. È, più o meno, la posizione che Google aveva sostenuto davanti alla Cnil – il Garante francese per la protezione dei dati personali – che, al contrario, l’aveva addirittura multata perché si era rifiutata di garantire la disindicizzazione globale dei contenuti.

E in effetti – come si era già scritto su queste stesse colonne – l’idea che in ossequio a un principio europeo, per quanto proiezione di un diritto fondamentale dell’uomo come il diritto alla privacy, il nostro continente potesse dettare legge in tutto il mondo in fatto di diritto a informare, a informarsi e, soprattutto, diritto alla storia sembra, davvero, una pretesa eccessiva. Senza dire – nelle conclusioni dell’avvocato generale della Corte di giustizia questa preoccupazione non è celata – che pretendere che siano le regole di casa nostra a fissare l’asticella del compromesso tra privacy e libertà di informazione in tutto il mondo rischierebbe di rappresentare un precedente del quale potremmo pentirci presto.

Basta immaginare a cosa diremmo, se domani un Paese meno democratico del nostro ordinasse a Google di disindicizzare un contenuto – magari in forza di qualche norma che noi considerassimo censoria – e pretendesse da Google la condanna all’oblio di quel contenuto nel mondo intero, incluso il nostro Paese. Siamo certi che non grideremmo allo scandalo, alla censura, alla libertà di informazione condannata al macello in nome di una regola che non condividiamo e, magari, persino al complotto tra Google, nostro signore dell’informazione globale, e il Paese in questione? E allora è giusto così, e c’è anzi da augurarsi che la Corte di giustizia segua le indicazioni dell’avvocato generale. O, per essere più chiari, così è meno sbagliato.

Perché l’idea che il diritto all’oblio possa e debba essere amministrato – almeno in prima istanza – da una corporation di giusto non ha e non avrà mai nulla. È solo il portato di un enorme malinteso, di un errore di prospettiva e di un fraintendimento. Una vittoria di Pirro: vero che abbiamo imposto a una corporation americana il rispetto delle nostre regole, ma l’abbiamo anche trasformata – più di quanto già non fosse – nell’arbitrio incontrastato e incontrastabile della nostra storia che sarà accessibile ai posteri in maniera integrale, nella misura in cui i singoli non eserciteranno il loro diritto all’oblio e/o Google non sarà troppo di manica larga nell’accogliere le richieste di oblio.

E, tuttavia, dall’indomani della decisione della Corte di giustizia – se dovesse andare nella direzione auspicata dall’avvocato generale – la storia del mondo è destinata ad apparire diversa a seconda del Paese dal quale la si leggerà.

Quando una decisione è sbagliata, prima o poi i nodi vengono al pettine. E che in una società globale come quella in cui viviamo interrogando Google da Lugano si possa sapere di Tizio, Caio o Sempronio informazioni che da Varese – neppure quaranta chilometri più a sud – sono inaccessibili è circostanza che mostra in maniera plastica quanto sbagliata sia la strada che stiamo percorrendo.

La miglior risposta al diritto alla privacy sul nostro passato – salvo casi eccezionali – è quella che in Italia avevamo identificato tanto tempo fa: nessun ordine di disindicizzazione, nessun’amnesia collettiva globale o regionale che sia, nessun oblio coatto ma, semplicemente, l’esigenza di integrare e completare i contenuti così da fare in modo che chiunque voglia saperne di più su di noi possa e debba sempre confrontarsi con tutte le tessere della nostra identità, passate e presenti.

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