Società

Il campo rom di Castel Romano è un inferno. Ma nessuno fa nulla per cambiare le cose

Lo sa solo chi ci ha messo piede: entrare nel campo rom di Castel Romano significa sprofondare in un girone infernale. Mille anime devastate da malesseri di varia natura – fisica e psicologica – dentro container fatiscenti, in uno spazio recintato nel cuore del nulla, dove il sentirsi “dimenticato”, da Dio e dagli uomini, è la percezione più diffusa. “Come cani randagi ci hanno buttato qua e hanno detto: ‘vediamo che succede’”, mi dice Ranko, cinque figli e 14 nipoti. Una vita segnata dal diabete e da un alcolismo mai superato.

Seguendo le parole di Ranko, vediamo cosa succede oggi a Castel Romano.

Tante partite si sono giocate su questo insediamento, che hanno visto come giocatori i protagonisti di Mafia Capitale, da Salvatore Buzzi a Massimo Carminati, da Luca Odevaine al clan dei Casamonica. Il gioco uscì allo scoperto nel 2014, quando si scoprì che dietro le azioni del “Piano Nomadi” di Alemannoscandite da sgomberi e trasferimenti forzati – si nascondevano fortissimi interessi economici neanche tanto velati. “Il traffico di droga rende meno!“, si lasciò scappare Buzzi in un’intercettazione telefonica parlando di questo non luogo.

Ma non è finita qui. Castel Romano ai tempi della Raggi continua a essere territorio di deroghe e di impegni non mantenuti. Il “villaggio”, come ogni campo rom istituzionale degno di questo nome, sorge in un’area dove nessun insediamento umano potrebbe essere autorizzato. Si trova infatti all’interno della Riserva naturale di Decima malafede, nel territorio del Comune di Roma, dove la Legge della Regione Lazio n.29/1997 detta precise “Norme in materia di aree naturali protette regionali” che prevedono misure di salvaguardia ambientale che possono essere derogate solo “in caso di necessità e urgenza o per ragioni di sicurezza pubblica”.

Nel settembre 2005 il sindaco Veltroni firmò l’Ordinanza che prevedeva lo sgombero del campo di Vicolo Savini e il trasferimento delle famiglie rom su un terreno interno al Parco. Piero Marrazzo, allora presidente della Regione Lazio facilitò l’azione autorizzando, con decreto del 22 novembre dello stesso anno, “la deroga alle misure di salvaguardia per il posizionamento di monoblocchi prefabbricati […] con durata inderogabile dell’occupazione dell’area entro e non oltre al 15 giugno 2006”. Nel luglio 2006 altro Decreto regionale di deroga. E così via, con deroghe fino al 2012.

Il 14 luglio 2017 l’Ente gestore del Parco, costatata la scadenza di cinque anni della deroga, intima al Comune di Roma di ripristinare l’area. Quattro mesi dopo, la Giunta Raggi presenta sia all’Ente gestore che alla Regione Lazio il “Progetto per il superamento del campo di Castel Romano” da realizzarsi “in un arco temporale non inferiore a 4 (quattro) anni”. Nicola Zingaretti si convince dell’iniziativa e decide di “reiterare i provvedimenti di deroga alle misure di salvaguardia della Riserva naturale Decima malafede”, stabilendo però “che l’Ente di Gestione della Riserva naturale Decima malafede dovrà vigilare al fine di monitorare il rispetto del cronoprogramma del progetto per il superamento del villaggio attrezzato di Castel Romano” attraverso relazioni semestrali e minacciando la revoca della deroga “qualora Roma Capitale non rispettasse le previsioni del cronoprogramma”.

Il cronoprogramma del Comune di Roma è messo nero su bianco.

1. Entro gennaio 2018: deliberazione di Giunta per estendere le misure del “Piano rom” a Castel Romano.

2. Entro marzo 2018: censimento patrimoniale degli ospiti e creazione di un Tavolo municipale.

3. Entro aprile 2018: bando per il reperimento dell’organizzazione incaricata di attuare il progetto di inclusione.

4. Entro giugno 2018: rientri assistiti e stipula di protocolli con organismi vari.

5. Entro dicembre 2018: attuazione del progetto di inclusione.

6. Entro dicembre 2020: demolizione container e bonifica dell’area.

Cosa è stato realizzato di questa fittissima scaletta? Ad oggi nulla di nulla. In barba alla Regione Lazio, all’Ente gestore del Parco, alle famiglie rom di Castel Romano. Che continuano la loro vita infernale. “Se metti una persona in mezzo a un bosco cosa fa? Cosa impara a fare? – mi dice Sena in italiano stentato – Non impariamo nulla. Invece di dare un futuro ai ragazzini, in avanti, li mandiamo indietro. Qui ormai il nostro cervello funziona solo al 10%“. Non sa, Sena, che su questo non è sola. È la responsabilità, però, a fare la differenza. E quella dell’amministrazione Raggi è la stessa di chi chiude i porti ai naufraghi o riserva solo a pochi stranieri l’accesso al reddito di cittadinanza. Negare un futuro diverso a chi è rimasto indietro, è il crimine che oggi si sta consumando nelle stanze del potere.