Secondo i pm di Torino e Palermo potrebbe non bastare per salvare i consiglieri regionali accusati di peculato. E per un motivo puramente tecnico: quel reato è comunque una fattispecie diversa rispetto all’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Anche quando quest’ultima è commessa da pubblici ufficiali. Resta comunque il dato politico: un aggravante di quel tipo, infatti, esisteva già. Un elemento che certifica la volontà della Lega: quel comma all’interno del ddl Anticorruzione è stato presentato per provare a fare da scudo ai politici accusati di essersi appropriati di fondi pubblici. Come Edoardo Rixi, viceministro delle Infrastrutture per il quale i pm della procura di Genova hanno chiesto 3 anni e 4 mesi.
L’aggravante della Lega esiste già – Proprio nel capoluogo ligure la modifica dell’articolo 316 ter è stata ribattezzata il “salva Rixi“. La legge è quella che punisce l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, al quale dieci deputati leghisti hanno fatto aggiungere tre righe: “La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri”. In pratica un’aggravante destinato a inasprire le pene quando l’autore di quel reato è un pubblico ufficiale, come appunto un politico. Ma un’aggravante simile esiste già: è l’articolo 61, numero 9, del codice penale. “Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti: l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto”. È una delle cosiddette circostanze aggravanti comuni. Il comma della Lega, invece, è un’aggravante speciale. Che, però, di speciale ha poco. L’aumento della pena per i pubblici ufficiali che si macchiano di indebita percezione è esigua rispetto a quella prevista per tutti gli altri. Per i comuni cittadini la legge prevede da sei mesi a tre anni di reclusione, per i pubblici ufficiali, invece, da uno a quattro anni. Una pena ancora troppo bassa per consentire – per esempio – l’utilizzo di intercettazioni telefoniche. Perché dunque creare un nuovo aggravante speciale dell’indebita percezione solo per i pubblici ufficiali quando sarebbe bastato applicare quella comune già esistente?
Il tentativo: il “peculato light” – Il motivo è semplice: provare a creare un “peculato light“. Se davvero i leghisti avessero voluto inasprire il 316 ter per i pubblici ufficiali, sarebbe bastato aumentare – di tanto – le pene. Non solo di sei mesi. In quel modo, però, la nuova norma non avrebbe avuto il suo vero obiettivo: “salvare” i politici accusati di peculato. Come? Se un imputato per peculato riesce a farsi derubricare il reato in indebita percezione non solo può sperare in una condanna più lieve: vede anche dimezzare i tempi di precrizione, da 12 anni e mezzo a 7 e mezzo. Insomma chi ha scritto quel comma è qualcuno che di diritto penale ne sa. Per questo motivo l’allerta tra i pm di Genova è massima: molti avvocati hanno già chiesto di processare i loro clienti per l’articolo 316 ter e non per il 314, il peculato. E si sono visti rispondere picche. La preoccupazione, adesso, è legata al fatto che la nuova legge potrebbe aumentare le possibilità delle difese.
Procure di Torino e Palermo: “Nessun effetto” – La questione, però, non è così automatica. Anzi, secondo fonti della procura di Torino – citate dall’Ansa – la modifica della Lega non avrà alcuna conseguenza sui procedimenti avviati in Piemonte contro gli ex consiglieri regionali coinvolti nella Rimborsopoli locale. Il 316 ter non influirebbe in modo diretto né nel primo processo, per il quale la Corte d’appello ha condannato due leghisti: l’ex presidente della Regione Piemonte Roberto Cota e l’attuale capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari. La nuova legge non influirebbe neanche sull’inchiesta bis, attualmente in corso a carico di 50 indagati. In entrambi i procedimenti viene contestato il reato di peculato, che in vicende simili la Cassazione ha ritenuto essere quello più adeguato al caso di consiglieri regionali che hanno ottenuto rimborsi non dovuti. La pensano allo stesso modo anche fonti della procura di Palermo, altro ufficio giudiziario che si è occupato delle “spese pazze” del consiglio regionale.
Due reati diversi – Il ragionamento dei due uffici giudiziari è semplice: le due norme rimangono fattispecie diverse. Anche con l’aggravante della Lega. Il peculato, infatti, punisce con la reclusione da quattro a dieci anni e mezzo “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui , se ne appropria“. Quindi si tratta di un politico che – nel caso di Rixi e di altri consiglieri regionali – ha già a disposizione denaro o altri benefici legati al suo incarico ma se ne appropria per fini personali e non politici. Il tipico esempio di peculato, infatti, è l’autoblu di servizio usata per andare in palestra o accompagnare la tata a casa, e quindi per fini privati. L’indebita percezione, invece, colpisce “chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee”. Nel caso dell’indebita percezione, invece, si punisce chi produce documenti falsi – o monchi – per ottenere benefici pubblici. Ad esempio chi fornisce un Isee farlocca per avere accesso a un qualche beneficio economico erogato dal settore pubblico. Una fattispecie diversa da quella del peculato. La norma della Lega prevede solo che se a compierla è un pubblico ufficiale – cioè un politico – viene punito con una condanna leggermente più pesante rispetto a quella prevista per i comuni cittadini, ma molto più leggera rispetto a quella del peculato.
Le contestazioni a Rixi – Il trucco quindi starebbe nel vedersi riconoscere il 316 ter invece del 314. Ma a giustificare la contestazione di un reato invece di un altro sono, appunto, i fatti contestati, cioè quelli che per la pubblica accusa sono stati commessi da un indagato. Nel caso Rixi – il politico principale citato in questa vicenda – la procura di Genova sostiene che il viceministro si è appropriato di una serie di somme – 108.237 euro in totale – quand’era capogruppo della Lega in consiglio regionale: alcune per sè (19.885), altre percepite dai consiglieri del Carroccio. “Nella sua qualità di capogruppo consigliare Lega Nord Liguria Padania e in quanto tale pubblico ufficiale si appropriava” della somma “presentando a rendiconto documentazione anche di rilevanza fiscale di acquisti beni o servizi non pertinenti all’attività politica prevista dalla legge regionale 38/1990 attestante il regolare impiego dei fondi pubblici percepiti dalla Regione Liguria”. Dunque la documentazione presentata – scontrini e fatture – non è considerata falsa. Quei soldi venivano però spesi per motivi diversi dai fini politici. La legge regionale citata è quella che in Liguria – e nelle altre regioni a statuto ordinario – regola l’erogazione dei contributi ai gruppi. “Per il funzionamento, per le iniziative politiche e per le attività collegate ai lavori del Consiglio di ciascun Gruppo consiliare è previsto un contributo complessivo costituito da una quota annuale fissa pari ad euro 5.000 moltiplicata per il numero dei Consiglieri“, recita l’articolo uno. In pratica il denaro è già nelle disponibilità dei gruppi, che poi dovranno rendicontarne l’utilizzo.
Bonafede: “Non cambia nulla”. Csm: “Giudici decideranno caso per caso” – È per questo motivo che Rixi e gli altri sono finiti sotto processo: avevano denaro che gli spettava in quanto consiglieri eletti, ma lo utilizzavano per fini diversi da quelli politici. Fino ad ora questo era chiaramente peculato. Adesso saranno i giudici a dover decidere se continuare a contestare quel reato, o quello molto più soft modificato dal comma della Lega. “Saranno i giudici a decidere caso per caso“, dice il vicepresidente del Csm, David Ermini. “Questa norma non salva nessuno. Peculato e indebita percezione restano due reati distinti. L’emendamento aggrava una fattispecie di reato, l’indebita percezione a danno dello Stato, che viene aggravato se lo commette un pubblico ufficiale. Il peculato individua un altro comportamento: sfido comunque che l’emendamento cambia la condotta punita per farla diventare peculato”, dice sicuro il guardasigilli Alfonso Bonafede. Si vedrà alla prima occasione come la pensano i tribunali di mezza Italia.