L’ennesima giornata di negoziati non sembra aver sortito l’effetto sperato: a meno di sorprese dell’ultima ora, Theresa May non ha convinto i Tory ribelli, gli alleati e le opposizioni sulla bontà dell’accordo raggiunto con l’Ue per la Brexit. Ieri alla Camera dei Comuni la premier ha cercato di portare dalla sua parte gli scettici spiegando che Bruxelles ha dato rassicurazioni con “valore legale” sulla volontà di non attuare il backstop sull’Irlanda del Nord e sulla sua natura transitoria, i due punti che oltremanica rendono indigesto l’intesa. Lo scambio di lettere con l’Ue “non cambia nulla“, ha replicato il leader del Labour Jeremy Corbyn, auspicando la bocciatura della ratifica. Nulla di fatto, quindi. E oggi Westminster vota sull’accordo.
Secondo le previsioni, i deputati dovrebbero esprimersi attorno alle 20 ora italiana: dipenderà dal numero di emendamenti che verranno ammessi e che andranno in votazione. Due le strade principali. Una molto lineare e breve, che porta a un risultato certo: i deputati votano l’accordo. L’altra è un cammino nella nebbia, che conduce verso l’ignoto: l’intesa viene respinta. Nell’incertezza che si verrà a creare, ci sarà solo una (quasi) certezza: che l’uscita del Regno Unito dall’Unione, fissata per il 29 marzo, dovrà essere rimandata. Vediamo i possibili scenari.
La House of Commons vota l’accordo – L’opzione è data dalla maggior parte degli osservatori come altamente improbabile dato l’elevato numero di parlamentari che nelle ultime settimane hanno dichiarato la loro contrarietà all’accordo, ma se i membri della Camera dei Comuni lo approvano, l’iter parlamentare è finito. La Camera dei Lord sarà chiamata solo solo a discutere la mozione, ma non si esprimerà con un voto. La palla passerà, quindi, al Parlamento europeo che dovrà approvare l’intesa. Se tutto andrà come previsto, l’accordo entrerà in vigore quando il Regno Unito lascerà l’Ue il 29 marzo e entrerà in un periodo transitorio di attesa di 21 mesi, con la possibilità di estendere per “fino a uno o due anni “, come da testo dell’Accordo di revoca dell’adesione all’Unione.
Westminster rigetta l’intesa – Al momento le conseguenze del rigetto sono soltanto ipotizzabili. Cominciamo. E’ probabile che May prenda una decisione alla luce delle dimensioni della sconfitta. I deputati chiamati al voto sono 650, ma non voteranno i 4 relatori e non saranno presenti i 7 esponenti del Sinn Fein, i nazionalisti nordirlandesi. La maggioranza necessaria scende quindi da 326 a 318. Il Labour, parte dei Tory, i liberali e il Dup – partito unionista nordirlandese che tiene in piedi il governo – voteranno contro. Secondo i media britannici, se la sconfitta si mantenesse attorno ai 50 voti in meno dei 318 necessari per far passare l’accordo, la premier resterebbe al suo posto. Se la sconfitta fosse più netta e voti mancanti tendessero al centinaio, May potrebbe rassegnare le dimissioni. Secondo i calcoli del Guardian, il ko potrebbe assumere i contorni della disfatta, poiché i deputati pronti a votare contro arriverebbero a 200.
Nuova mozione entro tre giorni – Cosa potrebbe accadere dal punto di vista procedurale? Secondo quanto stabilito dall’emendamento fatto approvare la scorsa settimana dal Tory Dominic Grieve, entro tre giorni lavorativi (quindi lunedì prossimo) May dovrebbe tornare alla Camera e spiegare cosa intende fare presentando una nuova mozione. Tra le opzioni a disposizione quella di un nuovo tentativo di intavolare una trattativa con l’Ue per ottenere significativi cambiamenti al testo già concordato. Secondo le convenzioni di Westminster quest’ultima non sarebbe emendabile, ma lo speaker John Bercow ha mostrato la propria volontà di modificare le prassi fin qui osservate e i parlamentari potrebbero proporre piani alternativi per la Brexit.
“Parlamentarizzazione” della Brexit – In questo contesto, un piccolo gruppo di parlamentari sarebbe pronto a presentare emendamenti alla mozione del governo la settimana prossima in modo da dare ai deputati più potere di iniziativa sulla questione e di consegnare in pratica l’agenda della Brexit alla Camera dei Comuni. Il Tory Nick Boles ha dichiarato che l’emendamento potrebbe concedere alla May tre settimane per trovare un accordo in grado di avere la maggioranza a Westminster. Se la premier non sarà in grado di raggiungere l’obiettivo, la responsabilità di farlo passerebbe al comitato di collegamento dei presidenti delle commissioni della Camera.
Il Labour e la mozione di sfiducia – In caso di ko, i laburisti hanno annunciato che presenteranno una mozione di sfiducia al governo. Jeremy Corbyn non ha dato tempistiche certe, ma secondo le voci circolate tra alcuni parlamentari la richiesta potrebbe arrivare entro poche ore e il voto potrebbe tenersi già mercoledì. Il voto di sfiducia richiede una maggioranza semplice e, nel caso in cui andasse in porto, i laburisti o un altro gruppo di parlamentari avrebbero 14 giorni per provare a formare un governo in grado di ottenere la fiducia. Se dopo queste due settimane nessuno dei due schieramenti fosse in grado di presentarsi in Parlmento, si andrebbe a elezioni anticipate. Tuttavia, pochi si aspettano che il governo possa essere sfiduciato, dato che i Tory e il Dup difficilmente consegnerebbero il governo a Corbyn.
Il secondo referendum – La possibilità di un secondo referendum, finora esclusa da Theresa May, è sostenuta dai pro Ue nella speranza che possa ribaltare il risultato del primo referendum, quello del 23 giugno 2016. Resta da capire cosa riguarderebbe il quesito: permanenza nell’Ue, piano di May o uscita senza accordo? Naturalmente non ci sono garanzie che la consultazione darebbe un risultato diverso da quello di giugno 2016. Il Partito laburista, principale formazione di opposizione, sarebbe d’accordo con questa opzione se non otterrà le elezioni anticipate che vorrebbe.
Ipotesi rinvio del divorzio – Il rinvio della Brexit (prevista per il 29 marzo) tramite un’estensione dell’articolo 50 sembra un’eventualità sempre più credibile. È ipotizzabile sia nel caso di vittoria di una mozione di sfiducia Labour, sia nel caso in cui Theresa May dovesse vincere il voto in Parlamento (visto che le resterebbe poco tempo per far approvare le leggi necessarie prima del 29 marzo), sia nel caso in cui debbano essere organizzati un secondo referendum o elezioni legislative anticipate. Un centinaio di eurodeputati di diversi orientamenti politici si è impegnato lunedì a sostenere una richiesta di rinvio da parte di Londra, ma in questo caso che ne sarebbe delle elezioni europee? Lunedì May ha dichiarato che la data della Brexit non dovrebbe essere rinviata. Secondo una fonte diplomatica, “un rinvio dopo il 29 marzo è possibile ma non oltre il 30 giugno“.