Uno scenario talmente catastrofico da non poterlo ipotizzare. Così Francesco Lippi, docente di macroeconomia ed economia monetaria alla Luiss di Roma e appena nominato Joint Managing Editor di The Economic Journal, ha commentato l’ipotesi di una Brexit senza accordo. Le conseguenze, non del tutto prevedibili, coinvolgerebbero tutti i settori, dall’economia alla finanza, dalla politica agli aspetti sociali. Con prospettive che, per la Gran Bretagna, ma anche per alcuni Paesi europei, sarebbero “inutilmente masochistiche. Per questo credo che, alla fine, si troverà una soluzione diversa dalla hard Brexit”.
Import-export con Ue rappresenta il 50%, “senza accordi sarebbe a rischio”
Le principali conseguenze economiche si avrebbero in campo commerciale. Secondo un rapporto della Camera dei Comuni, la Gran Bretagna nel 2017 ha esportato 274 miliardi di sterline di beni e servizi (circa 307 miliardi di euro) verso paesi extraeuropei, il 44.5% del totale. Inoltre, sempre dai Paesi comunitari ha importato 341 miliardi di sterline (circa 382 miliardi di euro), il 53,1% del totale. “I numeri ci dicono che un’uscita senza accordi della Gran Bretagna dall’Unione europea – spiega il docente della Luiss – creerebbe una situazione disastrosa dal punto di vista economico. In un mondo globalizzato, dove il mercato libero non rende più ipotizzabili forme di autarchia economica, nessun Paese è autosufficiente in tutti i settori della produzione. Se quindi la Gran Bretagna dipende dalle importazioni dall’Ue per soddisfare diversi fabbisogni, dal cibo ai farmaci, fino alla componentistica, cosa succederà una volta eliminati gli accordi commerciali? Questi prodotti verranno presto a mancare”.
E la soluzione a queste mancanze non si troverebbe nell’arco di poco tempo, continua il professore, visto che sarebbero necessari nuovi accordi bilaterali: “La Gran Bretagna, a livello commerciale, diventerebbe come qualsiasi altro paese asiatico, americano o africano. Il problema è che, negli anni, con questi Paesi sono stati stretti accordi commerciali che hanno facilitato l’import-export, mentre in questo caso dovremmo ripartire da zero. Una prospettiva catastrofica per il Regno, se si pensa che l’Unione rappresenta il suo principale partner commerciale”. E le conseguenze non tarderebbero a manifestarsi, con gli scaffali dei negozi che rischierebbero di svuotarsi di tutti i beni importati, primi fra tutti quelli deperibili che, anche se spediti, rischierebbero di andare a male all’interno dei container sulle navi bloccate nei porti britannici. Un timore, questo, confermato anche dall’invito diffuso dalla polizia inglese e rivolto ai rivenditori in cui si consiglia di rafforzare i controlli di sicurezza nei propri negozi per far fronte a un “significativo aumento dei clienti” in caso di no deal Brexit. Uno scenario del genere provocherebbe, alla lunga, un calo del Prodotto interno lordo britannico, “anche se dare dei numeri su questo, ad oggi, è praticamente impossibile”, sostiene Lippi.
Capitale umano e servizi, “quanti fondi e quante risorse perderà la Gb”
A subire un colpo durissimo, nel caso in cui si arrivasse a una hard Brexit, saranno le aziende che sfruttano le competenze e le risorse delle migliaia di cittadini europei che ogni anno attraversano la manica per studiare nelle università o per essere impiegati nelle compagnie britanniche. “Tutti questi professionisti, la maggior parte dei quali arriva a Londra per lavorare nella finanza – continua Lippi – rischiano di andare persi. Ci rimette la City, che sull’apporto di queste eccellenze conta molto, e ci rimette l’intera Europa, visto che queste persone potevano anche spostarsi e portare la loro esperienza e le loro competenze nel continente”. La perdita, o il drastico calo, di studenti provenienti da tutta Europa porterà anche un’altra conseguenza negativa per il Regno: meno fondi per la ricerca. “Oggi la Gran Bretagna usufruisce di importanti fondi europei per la ricerca. Con la Brexit, il paese deve dire addio a quei soldi” e questo potrebbe anche rallentare il processo di crescita e l’appetibilità dei grandi atenei britannici. “Per questo – aggiunge Lippi – mi sento di dire che istruzione e finanza saranno i settori che più di tutti verranno penalizzati da una hard Brexit, perché fanno grande affidamento sul capitale umano e sui fondi europei”.
Finanza, il timore di una fuga dalla City
Il settore finanziario si era già messo sull’attenti dopo il risultato del referendum del giugno 2016, visto che, come spiega il professore, il contraccolpo sulla City ci sarà sia in caso di un’uscita con o senza accordo. “Il mondo della finanza britannico – continua Lippi – sarà uno dei settori più colpiti. Innanzitutto, perderà il suo ruolo egemone nel panorama europeo”, in favore di storiche sedi finanziarie europee, come Amsterdam o Lussemburgo, e altre emergenti, come Bruxelles. “Nella capitale belga, ad esempio, si sono già trasferite importanti compagnie che avevano sede a Londra. Bruxelles, oltre a essere una sede che offre un regime fiscale abbastanza favorevole, vanta anche la vicinanza con le istituzioni europee, il che ne fa un importante centro di lobbying”.
Trasporti e immigrazione: “Per gli expat europei sarà come andare negli Usa”
Quella dei trasporti sarà un’altra situazione da risolvere velocemente in caso di addio senza accordo perché il rischio è quello di un isolamento britannico dal resto dell’Europa. Nelle linee guida diffuse da Bruxelles in caso di hard Brexit si legge, non a caso, che “se l’accordo di revoca non viene ratificato, il traffico aereo tra l’Ue e il Regno Unito verrà interrotto a partire dalla data di ritiro” di Londra dall’Ue. Le compagnie aeree del Regno Unito sarebbero autorizzate a “sorvolare il territorio dell’Unione senza atterrare” o a “effettuare atterraggi nel territorio dell’Unione per scopi che non riguardino il traffico”, ossia il trasporto di persone. Stessa cosa vale per i trasporti via mare o terra.
Una situazione che, oltre ad avere ripercussioni sul turismo da e per la Gran Bretagna, inciderà anche sulle vite delle migliaia di espatriati europei nel Regno o, viceversa, per coloro che dalla Gb sono andati a vivere nell’Unione. A tal proposito, Paesi come l’Italia e lo stesso Regno Unito hanno garantito che, anche senza accordo, i cittadini europei o britannici residenti nell’Unione o in Uk potranno continuare a vivere e lavorare senza problemi. Resta da vedere se, oltre ai permessi di soggiorno e di lavoro nel Paese, a queste persone saranno garantiti anche gli altri diritti di cui hanno usufruito fino ad ora, come ad esempio l’accesso alla sanità pubblica. “Non basta dire che queste persone continueranno ad avere il diritto di vivere e lavorare in Gran Bretagna – continua Lippi – Credo che potrebbe verificarsi una situazione, anche se è difficile prevederlo, più simile a quella degli europei che lavorano o studiano negli Stati Uniti o in Australia: non sarà impossibile andare in Uk, ma i controlli e la richiesta dei permessi saranno molto più complicati e le tempistiche più lunghe. Inoltre, non dimentichiamoci che molte di queste persone hanno con sé mogli, mariti, compagni e figli. Come ci comportiamo nei confronti dei coniugi? E dei figli che nascono nel Paese dove questa persona lavora? Non è così semplice come sembra”.
Confine irlandese: “Impensabile una chiusura, la politica dovrebbe assumersi grandi responsabilità”
Il punto sul quale hanno rischiato di arenarsi le trattative tra Gran Bretagna e Unione europea è quello del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. L’idea di ricorrere al backstop, formula che eviterebbe il ritorno di un confine fisico tra Irlanda e Irlanda del Nord inserendo però la Gran Bretagna in una sorta di unione doganale, ha provocato la reazione degli unionisti di Belfast, che temono l’isolamento dal resto della Gran Bretagna, e dei sostenitori di una hard Brexit che vedono nel backstop una concessione a Bruxelles e un rischio per l’unità del Regno. “Resta veramente difficile pensare a cosa potrebbe succedere al confine tra le due Irlanda – conclude Lippi – Gli accordi del Venerdì Santo sono lì a garantire la pace che da decenni ormai è garantita in un’area dell’Europa che ha vissuto gravi scontri e violenze. Sinceramente, il ritorno a un confine fisico, come prevedrebbe un’uscita senza accordo, mi sembra impensabile: si metterebbero a rischio la sicurezza e la pace, un masochismo talmente eccessivo da sembrare impossibile”.
Twitter: @GianniRosini