Un dono divino illumina gli italiani piuttosto che i popoli di diversa lingua e tradizione: l’invenzione semantica. Nel mio settore, intraducibili sono le “bombe d’acqua” che racconto nell’omonimo saggio, dove svelo anche l’ideatore del “rischio idrogeologico”. Per lo straniero, l’aggettivo “idrogeologico” attiene alle falde acquifere, non a frane e alluvioni. Ed è praticamente impossibile rendere nella neo-lingua globish che ha travolto la scienza, l’ingegneria e l’economia, parole come “termovalorizzatore” o un ossimoro come “invarianza idraulica”. Anche le “grandi opere” fanno parte di questo vocabolario fantastico, perché nel resto del mondo si parla più semplicemente di infrastrutture, senza avventurarsi in un cimento etimologico dal sapore fallico.

Alla metà del 2017, un’importante società di consulenza globale, Pwc, aveva pubblicato un rapporto sulle prospettive d’investimento nelle infrastrutture, fiutando con largo anticipo l’aria sovranista che si respirava negli Stati Uniti e in Europa. Le cinque linee guida indicate da Pwc consigliavano di:

1. Porre la massima attenzione sulla capacità degli investimenti infrastrutturali di consolidare il benessere e diffondere la ricchezza, che sono tra gli obiettivi di chi antepone il sovranismo al globalismo;
2. Allargare i propri orizzonti, dai progetti di prato verde ai rischi regolatori a livello nazionale;
3. Per investire in modo proficuo non bisognava trascurare i mega-trend, le tendenze globali come innovazioni tecnologiche e cambiamento climatico, scambio di beni immateriali, variazioni demografiche e internet delle cose;
4. Privilegiare l’investimento in infrastrutture sostenibili sul lungo periodo;
5. Seguire con attenzione la fame di infrastrutture da parte dei Paesi ricchi di materie prime.

Ma non è frequente trovare qualche accenno a questi temi nelle chiacchiere da Bar Sport su cui ruota il dibattito sulle infrastrutture del nostro Paese, la palestra dello scontro politico di questi giorni. Il resto del mondo come fa le proprie scelte? Basandole come ovvio sull’Abc, l’analisi tra benefici e costi. Banca Mondiale o Banco Interamericano de Desarrollo possono forse finanziare una qualunque infrastruttura a rete – strada, ferrovia, acquedotto, gasdotto, oleodotto o elettrodotto – senza valutare benefici e costi dell’impresa? È quindi naturale che il dottor Carlo Cottarelli abbia recentemente suggerito di “seguire l’analisi costi-benefici” nelle scelte d’investimento pubblico in infrastrutture. Egli condivide con il leader del gruppo di lavoro ministeriale sull’Abc, Marco Ponti, una precisa cultura tecnico-scientifica, frutto di pluriennali esperienze internazionali. Il primo con il Fondo monetario internazionale, il secondo con la Banca mondiale, prima d’insegnare per anni economia agli studenti d’ingegneria ambientale del Politecnico di Milano. Nulla a che fare con la cosmologia antagonista.

Il mondo vedrà investimenti per 4.500 miliardi di dollari nel triennio 2018-2020. I 132 miliardi di euro di infrastrutture – previsti dai passati governi e ora sotto la lente dell’Abc ministeriale – sono solo un rivolo, soprattutto se nel triennio trasuderanno solo alcune gocce. Gocce che scorreranno lentamente, comunque. Tutti conosciamo il passo di lumaca con cui si realizzano le infrastrutture in Italia. L’Aurelia Bis di Savona – una strada di scorrimento lunga cinque chilometri e larga dieci metri e mezzo – è ancora un cantiere, benché aperto dal governatore ligure nel 2013. L’Autostrada del Sole, 760 chilometri, fu inaugurata nel 1964, dopo 3.060 giorni dalla posa della prima pietra. Realizzata con la rapidità dell’Aurelia Bis, l’inaugurazione dell’Autosole potrebbe fare notizia soltanto nel secolo venturo.

L’Abc del Tav da Torino a Lione è ancora segreta e l’unica nota finora, l’Abc del Terzo Valico ligure-piemontese, porge una diagnosi infausta. Lo scenario “base”, quello più verosimile perché sorvola sia sull’ottimismo dei profeti sia sul pessimismo della ragione, prevede un Valore attuale netto (Vane) negativo del “costo a finire”, a sua volta valutato in 4,636 miliardi di euro, assai meno di quanto previsto inizialmente. Non si tratta di spiccioli; e il Vane negativo da 1.576 milioni di euro dovrà pur essere pagato da qualcuno nei prossimi 60 anni. Lascio indovinare da chi.

Sia chiaro che un treno veloce da Milano a Genova serve. Almeno a qualcuno, come me, fornirebbe un gradito servigio. E sapere che, in larga misura, me lo paga la collettività sarebbe anche consolatorio, dopo parecchie delusioni. L’Abc non aiuta perciò a stabilire se l’infrastruttura è strategica o meno, se è utile o meno. Né se, al contrario, è inutile o, addirittura, dannosa. Serve soltanto a comporre un’agenda razionale con cui pianificare gli investimenti in infrastrutture sul lungo periodo, evitando figli e figliastri, se le risorse sono limitate.

L’Abc “a babbo morto”, quando la politica ha già tratto il dado e i cantieri sono aperti, non ha però enorme significato, se non esplicitare gli onori o gli oneri per i nostri figli e per i figli dei nostri figli. L’Abc dei progetti si fa prima, come insegna la Banca Mondiale. Una prima fase, detta screening, serve a valutare le alternative progettuali. Per esempio, di tracciati e progetti del Terzo Valico ne conosco almeno una decina: dal progetto Navone, pubblicato sul Corriere Mercantile nel 1875, alla Direttissima del 1905 o alla proposta Rigamonti, timidamente avanzata dalla lista civica di Marco Doria, sindaco di Genova dal 2012 al 2017. Chissà se anche per tutti questi progetti la diagnosi dell’Abc sarebbe stata infausta.

Tra i diversi progetti, solo quelli positivi entrano nella seconda fase, il ranking, che li mette in colonna per decidere che fare; e che fare prima. Perché la priorità va data ai progetti con miglior valore. E se mancano una dozzina di chilometri per completare il raddoppio della ferrovia Genova-Ventimiglia, qualche dubbio sulle priorità potrebbe anche sorgere. In fondo, parliamo della linea che collega Milano a Barcellona, il cui tratto ligure fu costruito in 16 anni, dal 1857 al 1872, quando per le gallerie non si usava ancora la dinamite ma si scavava a mano con lo scudo inventato da Sir Marc Isambard Brunel.

L’Abc dei progetti pubblici – varata in Italia dal ministro Graziano Del Rio senza praticarla – fu sostenuta con forza dalla presidenza di Barack Obama. Cass Sunstein – docente a Harvard e “zar normativo” di quell’amministrazione – ha pubblicato di recente un libro sul tema: The Cost-Benefit Revolution. Egli afferma che gli americani “vogliono che il governo decida in base al risultato che si potrebbe davvero ottenere. L’analisi costi-benefici è un modo per scoprirlo”. Secondo lui, gli americani vogliono più trasparenza e meno arbitrio, anche se nessuno di loro ha visto finora l’Abc del muro con il Messico, che costa qualche miliardo di dollari.

E gli italiani? Molti di loro, attivi soprattutto nel mondo politico e imprenditoriale, affermano senza mezzi termini che l’Abc “fa perdere tempo e basta”. E i più dotti si vestono del peplo degli antichi romani, affermando che le strade consolari mai avrebbero passato le forche caudine dell’Abc. Comunque, l’attivismo di altri italiani, quelli dei comitati, e la sola minaccia dell’Abc hanno un po’ calmierato l’omerico costo delle infrastrutture italiane, da 40 anni tra le più costose del mondo. Anche se la speranza nelle varianti in corso d’opera promette ancora qualche soddisfazione.

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