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Attentato Nairobi: perché i terroristi di al Shabaab, sconfitti in Somalia, puntano al Kenya

Tutti i terroristi responsabili dell’attacco a Nairobi sono stati uccisi. Lo ha riferito il presidente kenyano, Uhuru Kenyatta, dopo un assedio delle forze di sicurezza durato 20 ore, aggiungendo che le vittime dell’attacco sono salite a 14. Un attacco che richiama alla memoria quello del “Westgate Mall”, sempre a Nairobi, nel 2013, che costò la vita a 67 persone.

Tra il 2006 e il 2007 i militanti di al Shabaab avevano condotti attacchi principalmente in Somalia. Da segnalare solo un attacco terroristico in Etiopia e nessuno in Kenya. Al contrario, tra il 2008 e il 2015, l’organizzazione terroristica ha eseguito ben 272 attacchi in Kenya e solo cinque in Etiopia. L’incursione keniota nella Somalia meridionale è iniziata dopo il rapimento di due donne spagnole che lavoravano per Medici Senza Frontiere (MSF) nel campo profughi di Dadaab. Il 16 ottobre 2011 le truppe keniane avevano attraversato il confine con la Somalia per difendersi dalle milizie di al Shabaab, il gruppo jihadista più pericoloso del Corno d’Africa.

Fondato nel 2006, la sua storia inizia come braccio militante della Islamic Courts Union (ICU), per poi puntare a rovesciare da solo il Parlamento Federale, compiendo violenti attacchi suicidi e altri atti di brutalità contro i nemici dell’Islam, cristiani ma anche sufi. Eppure oggi in Somalia, l’ex colonia italiana ormai soggetta a balcanizzazione, le milizie di al Shabaab sono state quasi del tutto estromesse, perdendo il controllo di Mogadiscio ma anche quello della città portuale di Kismayu fondamentale per il commercio del carbone, causandone un ridimensionamento dal punto di vista delle finanze.

Scorrendo il report del Center on Sanctions & Illecit Finance, si possono estrapolare dati interessanti. Dal 2012 al 2014 i terroristi somali hanno ricavato oltre 83 milioni di dollari dalla tassazione e vendita del carbone. A ciò si aggiunge il contrabbando di zucchero con il Kenya che solo nel 2015 ha fruttato oltre 12 milioni di dollari derivanti da una tassazione illegittima di 1000 dollari a carico transitato. Infine al Shabaab detiene inoltre il controllo sul traffico della droga (il khat) e la gestione dei rapimenti dai quali ottiene ingenti somme di riscatto.

Ed è proprio qui che cambia la strategia, con attacchi mirabolanti in modo da destare sgomento nell’opinione pubblica. La visibilità mediatica delle azioni condotte in Kenya è risultata di gran lunga superiore a quella somala. Questo aspetto lo si evidenziata già in un mio commento del 2015. Pare inoltre che le comunità degli espatriati somali in Kenya diventi il canale di penetrazione di al Shabaab. L’obiettivo primario delle azioni terroristiche sono da tempo le infrastrutture turistiche della costa settentrionale e quelle delle organizzazioni internazionali e umanitarie ma obiettivi strategici possono essere anche scuole, chiese, università sempre per un risvolto mediatico.

L’albergo finito sotto attacco ieri a Nairobi è una struttura di lusso, il Dusit D2, che si trova in un elegante quartiere della capitale keniota. Nel complesso ci sono anche banche e uffici. Ad aprire la strada all’incursione del commando, un martire suicida o kamikaze che al Shabaab riesce a trovare con grande facilità. Volontari che si trasformano in Shahid sono il risultato della forte influenza che il gruppo qaedista riesce ad avere su una popolazione le cui condizioni di vita sono ai limiti dell’umano essendo segnata da fame, disperazione e mancanza di un governo stabile.