di Marco Gigante
“Sì tav subito!” Ripete a squarciagola il popolo dei Sì Tav in piazza Castello a Torino. È il 12 gennaio del 2019. L’anno nuovo è appena iniziato e l’atmosfera politica sembra diversa. La gente è stufa di dire e sentirsi dire sempre di No. C’è voglia di dire Sì. E di dirlo forte. Il popolo dei Sì Tav ha pronti gli argomenti per la sua veemente protesta contro le politiche economiche del governo (o meglio contro una parte di esso). Il Tav, acronimo per “Treno ad alta velocità”, si deve fare, costi quel che costi. “Il progresso non va fermato”, ripetono i protestanti in piazza. Non bisogna aver paura del futuro; bisogna accoglierlo. Occorre farsi sedurre dalla sua voce, riscoprire quel profumo della vita che Tonino Guerra augurava a Gianni in un noto spot pubblicitario di qualche anno fa. Ma occorre anche tornare a sorridere. Il popolo dei Sì Tav è a dirci che il Sì non va solo detto al treno ad alta velocità, ma alla politica, all’economia, alla vita.
Si vedano da vicino le ragioni di questo popolo straordinario. Si prendano i messaggi che sono stati letti ad alta voce in piazza e che successivamente sono circolati in Rete. Tra questi si trovano slogan di straordinaria attualità come: “Il mondo cambia ad alta velocità: Sveglia!”, affermazioni volitive del calibro di “il futuro è di tutti. Vogliamo la Tav!” o ancora, in crescendo, rivendicazioni credibili di merito: “vogliamo più lavoro. L’Italia se lo M E R I T A” (scritto nella forma in cui è stato letto), richiami seri alla trasparenza “Analisi costi benefici. Trasparenza sempre!” o all’ambiente: “I Tir inquinano l’ambiente, la Tav no!” (ma va?!); persino slanci patriottici: “L’Europa siamo noi. La Tav è il nostro futuro”. Chi è stato in piazza quel giorno ha difficoltà a descrivere l’emozione di quei momenti. Difficile raccontare il brivido di quel “Sì Tav subito!”. Difficile esprimere in parole il credo e la forza espressa in quel “sì” alla velocità e al futuro.
Qualcuno ha soprannominato in segno di disprezzo le organizzatrici del “Sì tav” con il termine “madamine”. Quasi che la piazza, secondo costoro, non potesse appartenere a chi discute di politica nei salotti, o quasi che non sia legittimo, a chi non ha la benché minima cognizione di ciò contro cui protesta, esprimere ugualmente la propria opinione. Oggi la cultura sembra essere più che mai discriminatoria. Essa rende la discussione gerarchica; impedisce anche a chi sa meno di avere un’opinione dello stesso valore di chi invece ha competenze in uno specifico campo. Non è forse anti-democratico che l’opinione del professor Marco Ponti valga più di tutte le opinioni dei protestanti in piazza? Non è forse autoritario il voler dare più ascolto alle sua analisi che alle emozionanti parole dei Sì Tav? In piazza ci sono state ben 30mila persone a manifestare il loro assenso al treno ad alta velocità; possibile che si sbagliassero tutte? Possibile che gli unici ad aver ragione siano il professor Ponti e la sua equipe di tecnici?
Un tempo si sarebbero chiamati “gufi” questi maligni. Si sarebbe detto loro che il costante dire No a qualsiasi cosa celava in realtà un No più profondo. Un No rivolto all’Italia, al progresso, all’ambiente, all’Europa, al futuro. Ma oggi le cose sembrano essere cambiate. I Sì Tav ci insegnano che c’è un’Italia migliore. Un’Italia che non tifa contro sé stessa e che non ha paura di cambiare. Un’Italia che crede nel progresso e nella scienza, ma soprattutto nel tempo (già, perché se i lavori per la realizzazione del Tav dovessero partire oggi di certo non vedrebbero la loro fine prima dei 30 anni!) Non è dunque un gesto di estrema bontà quello dei Sì Tav di continuare ad appoggiare, con ostinato ottimismo, dei progetti così platealmente inutili? Non ci insegnano forse che è possibile sostenere idee e aspirazioni con il solo cuore e non anche con la ragione?
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