Basta odio contro i medici. Basta campagne pubblicitarie aggressive che invitano i cittadini a intraprendere azioni legali nei casi di presunta malasanità. In soli quattro giorni ha già superato 11mila firme la petizione su Change.org lanciata da Consulcesi, network legale che opera a fianco dei camici bianchi, e indirizzata al Capo dello Stato, al ministro della Salute Giulia Grillo, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, al presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli e al presidente della Commissione Sanità al Senato Pierpaolo Sileri, che da chirurgo ha sottoscritto immediatamente l’appello. “Bisogna ristabilire un dialogo e un rapporto di fiducia tra operatori sanitari e cittadini” chiosa il senatore del M5S.
L’iniziativa è nata dopo l’ennesimo spot che sollecitava le potenziali vittime di danni medici a fare causa contro il personale sanitario, quello di Obiettivo risarcimento (società che si occupa dei presunti errori sanitari negli ospedali), andato in onda sulle reti Rai nel periodo di Natale e bloccato dopo qualche giorno in seguito al forte sdegno nella classe medica. La punta di un iceberg di manifesti e video confezionati da studi legali che ciclicamente invadono strade, bus e metrò delle nostre città e siti web. Trappole per pazienti forse un po’ troppo ingenui, considerato che “il 97 per cento delle cause finiscono senza esito”. Il dato emerge da un’indagine appena condotta da Consulcesi nei principali tribunali del Paese (Roma, Napoli, Milano, Bologna). E conferma le stime di uno studio del 2011 della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, secondo cui su 901 casi riguardanti personale sanitario (di cui 85 interessanti la gravidanza), il 40 per cento era stato archiviato subito e per quelli che risultavano conclusi si erano registrate due sole condanne. Mentre per l’omicidio colposo, dei 736 casi ascrivibili a personale sanitario, il 35 per cento era stato archiviato prima del processo e tra quelli giunti a conclusione non era stata rilevata nessuna condanna.
“Le cause legali arricchiscono più gli avvocati che i clienti” dice il presidente di Consulcesi, Massimo Tortorella. Con questa petizione la società intende promuovere l’istituzione di un Tribunale della salute. “Un luogo di confronto – spiega Tortorella – un servizio di mediazione e conciliazione per evitare di intasare i tribunali per cause infondate”. Il senatore Sileri sottolinea poi che “il medico è l’ultimo anello di una lunghissima catena” e che “ricadono sulle sue spalle una serie di criticità, dalla riduzione dei posti letto e dei mezzi a quella del personale in corsia”. Quindi, “eventuali richieste di risarcimento non andrebbero fatte a lui ma alla direzione dell’ospedale, responsabile dell’organizzazione dell’attività”.
La categoria più presa di mira è quella dei chirurghi che per la paura di finire in un’aula di tribunale stanno diventando una specie in via di estinzione. “Nessuno vuole più fare il chirurgo – dichiara allarmato Piero Marini, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) – Se incitiamo i cittadini a denunciare le sale operatorie chiuderanno, letteralmente. Quest’anno al concorso per le specializzazioni su 16mila laureati in medicina partecipanti meno di 90 hanno indicato la chirurgia generale come prima scelta lasciando scoperti oltre 270 posti. Ci rendiamo conto?”.
Ma oggi a spaventare i medici non sono soltanto le denunce facili. La loro attività è minata da attacchi verbali e da un’escalation di violenze fisiche. Dall’ultimo sondaggio del sindacato Anaao, eseguito su un campione di 1280 soggetti da aprile a maggio 2018, viene fuori una fotografia inquietante. Il 66 percento dei medici, ovvero quasi sette su dieci, ha dichiarato di aver subito un’aggressione da parte dei pazienti. Di questi, oltre due su tre hanno subito minacce e insulti, gli altri aggressioni fisiche. Spintoni, schiaffi, pugni fino agli stupri. Il reparto più a rischio è il pronto soccorso. E i pericoli maggiori si corrono nelle regioni del Sud. È qui infatti che si registra il numero più alto di denunce tra i medici. Gli atteggiamenti violenti di pazienti e parenti sono scatenati da più fattori. “Dalla condizione socioculturale, dalle campagne di comunicazione sulla malasanità che incattiviscono i più diffidenti e dal depauperamento del Ssn, che oggi ha dotazioni organiche e posti letto ridotti, per cui il malato rimane in barella al pronto soccorso anche una settimana prima di essere ricoverato in reparto – spiega il segretario nazionale di Anaao, Carlo Palermo – Un disagio che provoca ira e tensioni sebbene il medico non abbia colpa. Figuriamoci da qui al 2025, quando in base a un calcolo che abbiamo fatto ci saranno quattromila medici d’urgenza in meno. Tuttavia – puntualizza – va ricordato che il medico salva la vita alle persone e non il contrario. Che in Italia i livelli di salute sono tra i migliori in Europa. Gli esiti degli interventi per l’infarto miocardico, per l’ictus e i tumori sono tra i più alti. Se però l’informazione inasprisce i toni e i contenuti, non c’è da stupirsi se il cittadino perde il controllo”.
Fuori dall’ospedale i più esposti alle molestie sono le guardie mediche. L’ultimo caso in provincia di Messina i primi di gennaio. Un giovane medico, durante una visita a domicilio, è stato spinto giù dalle scale dal paziente. Sempre in Sicilia, nel catanese, nel settembre 2017 Serafina Strano è stata stuprata mentre era di guardia in ambulatorio. Molte sue colleghe si fanno scortare al lavoro da padri, mariti o amici. “Lavoriamo da sole, in sedi isolate, fatiscenti, ci minacciano se non prescriviamo il farmaco richiesto. Io pago due signore che a turno mi fanno compagnia mentre sono in servizio”. In Puglia, Elisa (il nome è di fantasia) per essersi rifiutata di fare la ricetta per un oppioide a un paziente che ne abusava è stata coperta di offese, intimidita e poi minacciata con una pistola. “Non posso controllare chi entra. All’ingresso ci sono le telecamere a circuito chiuso ma in sala di attesa non c’è nessuno. Abbiamo un pulsante da premere in caso di bisogno che però non è collegato direttamente alle forze dell’ordine ma a un servizio di vigilanza privato, dunque serve a poco”.
In Senato è in discussione il ddl antiviolenza contro le aggressioni alle professioni sanitarie, approvato dal Consiglio dei ministri l’8 agosto scorso. Prevede la creazione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli operatori sanitari, che dovrà monitorare gli episodi di violenza, promuovere studi e analisi per la formulazione di provvedimenti idonei a ridurre i rischi sul luogo di lavoro, e monitorare l’attuazione delle misure di prevenzione. Il ddl disciplina inoltre le circostanze aggravanti nei confronti di chi commette reati contro il personale sanitario. Ma per la Fnomceo non è abbastanza. “Al personale medico e sanitario – è la richiesta del presidente Anelli – dovrebbe essere riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale affinché l’azione penale venga avviata d’ufficio e non a seguito di denuncia di parte, sollevando così le vittime dall’onere di denunciare i loro aggressori. Spesso infatti per il timore di ritorsioni non lo fanno”. La Fnomceo chiede inoltre “all’interno dei pronto soccorso presidi di polizia” e “il trasferimento degli ambulatori di guardia medica in strutture protette, vicino alle caserme o all’interno di presidi sanitari, sorvegliati da guardie giurate”. E se questo non fosse possibile, Anelli propone di “eliminare l’attività ambulatoria notturna e limitare la guardia medica all’assistenza domiciliare, comunque sotto scorta”.