In questi mesi, da dopo il 4 marzo, è diventato un mood “la sinistra riparta da…“. Spesso, in questo, la satira ha superato l’analisi che dovremmo raccontarci. In un mio discorso al Nazareno, nei giorni successivi alle politiche, dissi che il Pd aveva abbandonato i temi dell’acqua pubblica, della democrazia dei beni comuni, della moralità, del pensare all’oggi nel segno delle “future generazioni “. Così recita la proposta di legge Rodotà. Se il mio partito negli anni ha commesso degli errori, abbandonando certe battaglie, non vedo il motivo per cui insieme a tanti, nel mio piccolo, debba rinunciarci.
Allora ho deciso di fare mia l’iniziativa del Comitato dei beni comuni, Sovrani e sociali “Stefano Rodotà”, che vuol ripartire dal lavoro della Commissione sui beni pubblici presieduta da Rodotà, con la quale si sottolineò l’urgenza di difendere i «beni comuni», quei beni che permettono l’esercizio dei diritti fondamentali nonché il libero sviluppo della persona e di chi verrà dopo. Si tratta di difendere beni come le acque, i parchi, la fauna, i beni immateriali e le reti (anche autostradali, su cui scrissi proprio qui dalla parte di chi avrebbe dovuto essere la sinistra) ma anche il paesaggio e i beni sociali come l’istruzione e il lavoro, per evitare che la privatizzazione selvaggia del patrimonio di tutti potesse privarci di questi beni fondamentali.
Sostenere il ddl Rodotà significa introdurre una disciplina garantistica per questi beni: si antepone il principio della salvaguardia intergenerazionale al diritto di proprietà di qualche casta di affari. Perché nel momento in cui si accumula ricchezza a svantaggio di tanti, aggredendo e saccheggiando diritti, è chi viene dopo ad andare in rovina ed a diventare insicuro e solo: lo si è già spogliato degli strumenti e delle protezioni per costruirsi un domani. Ed a questo si è arrivati!
Si è passati da una società fondata sulla liberazione politica, sulla giustizia sociale e sull’azione collettiva a una società fondata sul rischio e sulla proprietà in mano di pochi ed escludente, con la privatizzazione delle responsabilità pubbliche. In cui l’unico gesto rivoluzionario e neanche tanto libero è quello di accendere e spegnere uno smartphone all’inizio e alla fine di una giornata. Dovremmo arrabbiarci di fronte a questa acquiescenza, dissentire, resistere, disobbedire, insorgere di fronte al pensare economicistico. Ho imparato, grazie alle lezioni di diritto costituzionale del professor Alberto Lucarelli, che esiste un diritto militante, una Costituzione vivente che va alimentata continuamente attraverso il metodo democratico.
Questa battaglia di attuazione della Costituzione è radicale e lascia intravedere l’alternativa al pensiero neoliberista e alla dinamica autoritaria. Viviamo mesi in cui da nord a sud la rabbia, prodotta da anni di politiche neoliberiste, è accarezzata e alimentata da formazioni politiche che offrono cinema, nemici e barriere. Anche le istanze del Movimento 5 Stelle di ricerca, di partecipazione sono flebili. Allora è urgente un salto radicale, perché sì: siamo all’anno zero. È necessario un riscatto comune, che chiami i più coraggiosi, i più innamorati del futuro e i meno compromessi: con tanti altri lo stiamo facendo, a Napoli e nelle altre province campane.
Se dal basso c’è domanda di uguaglianza sostenibile, se reclamiamo che c’è un pezzo del nostro futuro su cui non è ammesso lucro selvaggio, se c’è un vulnus democratico che produce decisioni che penalizzano il Sud, non possiamo non agire di conseguenza. Per questi e tanti altri motivi che ci diremo lì, sabato sarò a Roma alla Casa Internazionale delle donne per la prima assemblea sui beni comuni.