Si spartivano i defunti dei due principali ospedali di Bologna, il Maggiore e il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, e a “libro paga” avevano infermieri, che fornivano clienti, e dipendenti delle imprese funebri, che convincevano i parenti e finalizzavano le pratiche. È la complessa organizzazione di due cartelli di imprese di pompe funebri, smantellata dai carabinieri del nucleo investigativo del capoluogo emiliano. Un vero e proprio business del caro-estinto (dal valore di 3,5 miliardi di euro secondo il Codacons), basato su un sistema corruttivo, che ha portato i militari a eseguire 30 misure cautelari, di cui 9 in carcere, 18 arresti domiciliari e 3 divieti di esercizio dell’attività d’impresa, disposte dal gip, e a sequestrare un patrimonio di 13 milioni di euro. Le persone coinvolte sono ritenute a vario titolo responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, corruzione di incaricato di pubblico servizio, riciclaggio e svariate violazioni connesse alla responsabilità amministrativa degli enti. L’operazione ha visto impegnati i carabinieri nelle province di Bologna, Ferrara, Modena, Rimini e Gorizia.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori il modus operandi era sempre lo stesso, consolidato nel tempo e articolato su più livelli. I sanitari agganciavano i familiari dei defunti e li mettevano in contatto con i rispettivi referenti delle varie agenzie di servizi. Le stesse agenzie funebri attraverso una stabile presenza presso gli ospedali, contraria in realtà alle norme, fornivano nell’immediatezza tutti i dettagli del caso e indirizzavano i nuovi clienti verso i loro uffici per la definizione della pratica. Intanto i vertici dei consorzi dirigevano le rispettive associazioni sotto tutti gli aspetti: dalla suddivisione dei vari “lavori” tra le ditte funebri, alle complessive attività di gestione e redistribuzione delle ingentissime somme guadagnate.
Gli infermieri venivano compensati con somme tra i 200 e 350 euro per ogni lavoro, secondo quanto accertato con alcune intercettazioni. “Gli infermieri venivano Se dopo anni in camera mortuaria hai ancora dei mutui da pagare significa che non hai capito come funziona”, si sente in una delle registrazioni. In un’altra invece una sanitaria si definisce la “regina della camera mortuaria” e in un’altra ancora racconta al compagno dei beni presi a un defunto: “Amò… ho trovato due anelli (…), l’ho messi già in borsa… però non so se è oro…”.
Le indagini hanno documentato le sistematiche condotte di riciclaggio, promosse e coordinate dagli indagati. Sistematicamente il “nero aziendale“, realizzato con la mancata fatturazione di parte dei servizi funerari e gestito attraverso specifiche contabilità parallele da parte di sodali incaricati della specifica mansione, veniva reinvestito per implementare le singole fette di guadagno.