Non molto alto, passo veloce, con un cappellino calato sulla testa. È stato ripreso, e non poteva essere altrimenti visto che via dei Tribunali è costellata di telecamere, il bombarolo che ha piazzato un ordigno davanti l’ingresso della pizzeria di Gino Sorbillo. L’uomo cammina a testa bassa, si inginocchia, posa la bomba-carta, accende la miccia e schizza via di corsa, velocissimo. La sequenza è breve, ma è il primo tassello per gli investigatori della Mobile che indagano sotto il coordinamento della Dda sull’ipotesi di una richiesta estorsiva.
È notte fonda, il tratto di via dei Tribunali è deserto, l’uomo si avvicina lentamente e tiene la bomba con due mani. Arrivato davanti alla saracinesca non si guarda intorno, sa che non c’è nessuno. Sembra inginocchiarsi e dà fuoco alla bomba, poi scatta in piedi e fila via, infilandosi nel vicolo lì vicino dove forse era atteso da un complice, oppure scappando a piedi. Passano pochi secondi, l’ordigno esplode: due delle tre telecamere si oscurano, resta in funzione solo la terza, quella all’interno del locale, che mostra un lampo, la porta di legno che si squarcia, la polvere che invade il locale.
A mete più fredda in una intervista al Corriere il pizzaiolo-imprenditore – che spiega di non aver mai ricevuto richieste di pizzo – sa che può essere diventato un obiettivo-simbolo della criminalità organizzata: “Di camorra, è abbastanza chiaro oramai. Nel centro storico, come in altri quartieri di Napoli, ci sono assetti criminali in continuo fermento. Cambiano le alleanze. Di conseguenza ogni volta, nelle fasi di transizione, i nuovi gruppi hanno bisogno di “presentarsi”. Dire: eccoci, siamo noi. E siamo potenti. Per fare questo hanno bisogno di un simbolo. In questo caso, il simbolo sono stato io… Questo affronto plateale può servire molto alla criminalità. Nel quartiere dove lavoro dominano gli eredi del clan Giuliano, che adesso sono imparentati con altre bande. Sono cambiati gli assetti. Una strada diventa quindi un luogo che deve essere conquistato. Soprattutto se c’è un’attività di riferimento che sembra importante. Io evidentemente con il mio lavoro danneggio anche la loro credibilità“.