“Ora è il governo britannico che deve venire a Bruxelles a dire ai 27 cosa vuole. Sulla base delle proposte daremo le nostre valutazioni" fanno sapere dalla Commissione Ue. L’Unione europea non è disponibile a intavolare trattative, se non sulla dichiarazione politica congiunta sulle relazioni future. Una uscita hard sarebbe catastrofica soprattutto per la Gran Bretagna, visto che è il mercato mercato europeo su cui si basa il 50% circa dell’import-export nazionale
Dopo la fiducia alla Camera dei Comuni, Theresa May dice che tornerà a dialogare con Bruxelles sulla Brexit. Resta però da capire su quali basi e avanzando quali richieste, visto che i margini di manovra sembrano ormai ridottissimi. “Ora è il governo britannico che deve venire a Bruxelles a dire ai 27 cosa vuole. Sulla base delle proposte daremo le nostre valutazioni”, ma “l’accordo sul ritiro non è rinegoziabile”, fanno sapere dalla Commissione Ue. La premier britannica dovrà presentarsi davanti ai negoziatori e ai capi di Stato e di governo europei con un piano B che, però, al momento non sembra esserci: lo chiede prima di tutti l’Unione europea che non è disponibile a intavolare trattative, se non sulla dichiarazione politica congiunta sulle relazioni future.
Subito dopo il voto favorevole di Westminster, la leader dei Conservatori prova a dare una nuova spinta all’esecutivo: “Saremo di nuovo alla Camera lunedì per presentare una mozione emendabile e fare una dichiarazione sulla via da seguire”, ha dichiarato subito dopo aver incassato la fiducia. L’idea è quella di concordare una strategia con le opposizioni e presentarsi a Bruxelles avanzando nuove richieste e sventolando lo spauracchio di una Brexit senza accordo. Una ipotesi, quest’ultima, che i 27 vorrebbero assolutamente evitare perché infliggerebbe un duro colpo ai Paesi che più di tutti commerciano con il Regno, come la Germania. Ma una hard Brexit sarebbe catastrofica soprattutto per la Gran Bretagna, visto che l’Ue è il mercato su cui si basa il 50% circa dell’import-export nazionale.
I vertici di Bruxelles lo sanno e forti di questo hanno subito alzato la voce: “L’intesa raggiunta non è rinegoziabile”, ha dichiarato il portavoce della Commissione, Margaritis Schinas, e il backstop, allo stato attuale, non si tocca. L’unica apertura riguarda la dichiarazione politica congiunta sulle relazioni future, documento che potrebbe sbloccare proprio la questione relativa al backstop che ha portato formazioni come gli unionisti nordirlandesi del Dup, alleati di May, a votare contro l’ultimo accordo presentato a Westminster. Il nodo della questione è proprio qui: Theresa May deve ritrovare l’appoggio degli alleati e di una parte dell’opposizione che chiedono, entrambi, di evitare il backstop, con l’Irlanda del Nord che rimarrebbe di fatto nel mercato unico europeo, potendo così mantenere aperto il confine sud con l’Irlanda, con i controlli doganali che si sposterebbero tra Belfast e il resto del Regno. Una soluzione inaccettabile per il Dup.
L’alternativa è quella di mantenere l’intera Gran Bretagna in un’unione doganale che, però, si basa sulle quattro libertà di libera circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi. Una soluzione, questa, che è sempre stata alla portata di Londra ma che May ha sempre considerato inammissibile perché, a suo dire, rappresenterebbe un tradimento del volere popolare espresso con il referendum sulla Brexit, soprattutto in tema d’immigrazione. È su questo punto che si protrarrà nei prossimi mesi la guerra di nervi tra Londra e Bruxelles.
L’Unione europea, secondo le indiscrezioni che trapelano da Palazzo Berlaymont, sarebbe anche disposta ad accettare una richiesta di spostamento del termine per chiudere definitivamente un accordo che accontenti tutte le parti, ma solo se il primo ministro arriverà a Bruxelles con delle basi negoziali che giustifichino questo slittamento. In poche parole: o la May si presenta con un piano B concreto, oppure non se ne fa niente e si andrà verso una hard Brexit. La speranza della May è quella di impaurire con la prospettiva di un no deal una parte dei 27 Stati membri, quelli che pagherebbero maggiormente un divorzio definitivo dal Regno Unito, che vacillando farebbero perdere compattezza alla corazzata Ue, creando così malumori e scontri all’interno del Consiglio europeo. Una tattica rischiosa se si considera che una hard Brexit rimane comunque più pericolosa per la Gran Bretagna.
Intanto, la premier deve pensare a quale sarà il piano B da portare di fronte ai negoziatori e ai capi di Stato e di governo Ue. Per questo si riunirà con le opposizioni in Parlamento per capire su quali punti sarà necessario trovare dei compromessi per evitare una nuova pesante bocciatura a Westminster. Ma nell’esecutivo la strada da intraprendere non sembra essere chiara, come testimonia l’ultima intervista rilasciata dal ministro della Salute, Matt Hancock, che il 15 gennaio, incalzato dal giornalista della Bbc, ha risposto: “Piano B? Parlare con le opposizioni e capire come trovare una maggioranza (in Parlamento)”.