“Attraverso la massoneria, la ‘ndrangheta ha occupato le regioni del nord”. L’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, ha svelato i legami tra le logge e le cosche calabresi. Lo aveva già fatto nel corso di un interrogatorio sostenuto davanti al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo al quale aveva spiegato il perché, dopo gli incontri con il procuratore di Palmi, Agostino Cordova, che negli anni novanta stava indagando sulla massoneria, ha deciso di dimettersi dal Goi: “Non riuscivo a credere che quella massoneria che io avevo immaginato e su cui avevo scritto un libro, nella realtà e nella società degli uomini potesse essere qualcosa di completamente diverso”.

Sconcerto che Di Bernardo ha rivissuto nell’aula del tribunale di Reggio Calabria dove è stato sentito come testimone nel processo ’Ndrangheta stragista che vede alla sbarra i boss Giuseppe Graviano e Rocco Filippone accusati dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Nella sua deposizione, Di Bernardo spiega il suo ingresso nella massoneria, come è arrivato a ricoprire la carica di vertice e il perché, nell’aprile 1993 si è dimesso da gran maestro: “Cordova riuscì a fornirmi alcuni elementi e alcuni documenti da cui emergeva un aspetto del Grande Oriente d’Italia che io non avrei mai immaginato potesse esistere”.

A quel punto Di Bernardo convocò la giunta del Goi. Ricorda la risposta che il suo vice Ettore Loizzo di Cosenza gli diede sul perché non fece nulla per impedire alle cosche calabresi di avere  contatti con la massoneria: “Avrei messo a rischio la mia vita e quella della mia famiglia. – disse Loizzo – La verità è che 28 su 32 logge calabresi sono controllate dalla ‘ndrangheta”. E fu a quel punto che Di Bernardo comprese “che il Grande Oriente non era più posto per me”.

Segnali di infiltrazione c’erano anche in Sicilia “dove ci fu un fatto che fece tremare un po’ la massoneria: l’arresto del sindaco di Castelvetrano per coinvolgimenti con la mafia”. La situazione della massoneria calabrese, però, era “molto più preoccupante di quella siciliana, in quanto era più ramificata e potente”. “In Calabria – aggiunge – c’era un potere unitario, una mente che regolava al di là di tutti i contrasti che esistevano ed esistono tuttora tra le obbedienze massoniche. C’era un filo conduttore. La massoneria calabrese è più potente di quella siciliana perché ha una visione unitaria”.

Ecco perché, stando al racconto di Di Bernardo, “l’inchiesta di Cordova andava nella direzione giusta”. Quell’indagine però non portò a nulla: dopo il trasferimento del procuratore di Palmi a Napoli, l’inchiesta fu trasferita a Roma dove “due magistrati mi convocarono e mi dissero che non avevano il tempo materiale di istruirla e fu archiviata. Si dice oggi che l’inchiesta è finita perché nulla è stato trovato contro il Grande Oriente. La verità è che è stata archiviata per decorrenza dei termini”.

Fu il suo segretario personale, Luigi Savina, a parlargli dei movimenti separatisti che si affacciavano nel panorama politico italiano all’inizio degli anni novanta: “Mi diceva che c’erano affiliati al Goi che sostenevano i movimenti separatisti. Reggio Calabria era il centro propulsore”. Sul tema stragi, il gran maestro ritiene che tutto si è mosso “all’interno dello stesso contesto” dei movimenti separatisti: “L’idea che mi ero fatto è che c’era qualcuno che tirava le fila all’interno di contesti diversi”. Neanche a dirlo, i contesti erano quello massonico e quello ‘ndranghetista: “Il punto di giuntura penso che sia il rituale. Quello usato in massoneria e quello usato nella ‘ndrangheta hanno una base in comune: il vincolarti al segreto una volta che tu sei dentro. Questo secondo me ha facilitato molto la compenetrazione tra ‘ndrangheta e massoneria”.

Nella parte finale della sua deposizione Di Bernardo ha trattato anche la vicenda di Licio Gelli e dell’elenco, quello vero, della P2: “Licio Gelli è stato inventato dalla Cia, dagli americani. Il governo americano aveva perso fiducia in Moro e Andreotti, e quindi cominciava a temere che in Italia ci potesse essere il sorpasso comunista”. In sostanza il venerabile, secondo Di Bernardo, “era diventato il ‘salvatore’ dell’Italia. Da quel momento Gelli è stato il referente unico ed esclusivo degli americani. Ha avuto montagne di dollari, ma soprattutto il governo americano e la Cia hanno messo all’obbedienza di Gelli i vertici italiani”. L’ex gran maestro, prima del Goi e poi della Gran Loggia regolare d’Italia, si riferisce ai “vertici economici, ai vertici militari e ai vertici della magistratura”. Tutti erano “alla sua obbedienza e li iniziava all’Excelsior di Roma. Quest’uomo all’improvviso si è trovato un potere che, penso, nessun altro ha avuto in Italia”.

Pur avendo la sua base all’interno, Gelli era stato espulso dal Goi prima che Di Bernardo fosse nominato gran maestro: “Dopo la mia elezione mi invio due lettere e mi chiese di essere riammesso. Io le leggo e non faccio nulla. Mi mandò un suo emissario per chiedermi ufficialmente di farlo rientrare. Gelli ritiene che ogni uomo sia comprabile e mi fa fare la domanda: ‘Decidi tu la somma. Fissa tu’. Io gli feci rispondere: ‘Gelli forse ha comprato tanti, ma certamente non comprerà me’. Poco dopo ritorna la stessa persona con un’altra proposta e mi dice: ‘Gelli in cambio del tuo appoggio, metterà a tua disposizione l’elenco vero della P2 con i relativi fascicoli’. Quello sequestrato dalla magistratura è solo parziale. Gelli mi fa dire da questo suo emissario che mi avrebbe dato il vero elenco con i relativi fascicoli. ‘In questo modo potrai ricattare tutta l’Italia’. Il commento è stato questo. Alla fin fine ho deciso di non procedere e quindi la cosa è finita lì”.

Che ci sia un elenco “vero” della P2, Di Bernardo lo ha riscontrato anche da un altro episodio che gli è stato riferito dal segretario personale del gran maestro Battelli: “Mi dice che una sera Gelli si presenta nello studio del gran maestro Battelli con un grosso fascicolo e gli dice: ‘Questo è l’elenco della P2’. Battelli comincia a sfogliarlo e, come sostiene il suo segretario, ‘diventa di tutti i colori’. Batelli dopo aver letto chiude e gli dice a Gelli: ‘Riprendilo, questo io non l’ho mai visto’. Tutto questo avviene molti anni dopo che la loggia P2 era stata sciolta. Gelli voleva rientrare nel Goi perché aveva capito che con il canale massonico avrebbe potuto muoversi dappertutto. Gelli senza massoneria valeva poco. Con la massoneria avrebbe potuto riaprire i suoi contatti internazionali. La sua richiesta era per rafforzare il suo potere affaristico. Non rientrò mai nel Goi”.

 

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