Marco Rizzini è giovane, pieno d’entusiasmo e di energie, iscritto all’ordine dei giornalisti. Gli piace parlare, fantasticare e bere qualche bicchiere di vodka con gli amici. Ama soprattutto viaggiare. Non viaggi comodi, ma faticosi, impegnativi: Pakistan, Iran, Corea del Nord, Abcasia. A un certo punto decide, con Leonardo e Federico, di affrontare un viaggio di 12mila chilometri a bordo di una vecchia Panda degli anni 80 rimessa a nuovo per l’occasione: partito dalla sua città, Verona, attraversa Balcani, Turchia, Georgia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan e dopo aver percorso anche l’immane vastità della Federazione russa approda a Mosca.
Tutto questo ce lo racconta in Panda o morte (Ediciclo 2018), che si legge d’un fiato e senza fiato spesso lascia. Ma perché la Panda, e perché questo viaggio? La Panda perché è una macchina semplice da aggiustare quando ci si trova in posti lontani e si rimane privi di mezzi e perché è “indistruttibile e solida come un carro armato”; il viaggio in automobile perché si vuol conoscere de visu e da vicino persone e culture con alle spalle una grande storia, e che, sia pure con occhio e atteggiamento differente, guardano, come noi, al futuro. L’autore lo dice con parole scolpite: “Se il mio sogno era andare fino in Uzbekistan via terra, era perché desideravo conoscere le genti del posto, non trovarmi un amico di penna canadese o australiano”.
Il viaggio è faticoso, talvolta pericoloso, sempre entusiasmante. Rizzini si licenzia dal lavoro e, senza ansia, corre verso l’ignoto. Il racconto è coinvolgente. Con pochi tratti, spesso con una sola immagine, dipinge il senso di secoli onusti di storia e diversità. Come quando descrive il passaggio fra Turchia e Georgia, dove l’occhio scorge, accostate sul confine, una moschea nella prima, la croce illuminata di una chiesina nella seconda: due costruzioni, due simboli di mondi distanti e vicinissimi. E poi ci racconta i vestiti, i volti di gente povera ma dignitosa, i sorrisi dei bambini, gli occhi vellutati delle ragazze. Ma anche il caldo implacabile in macchina con i finestrini chiusi per via della polvere, le buche tormentose e perigliose schivate talvolta per miracolo, il brivido che assale al calare del crepuscolo. E intanto, nella lontananza di terre affascinanti e sconosciute, emergono i simboli della penetrazione occidentale: l’inglese stentato ma ostentato di una ragazza in Uzbekistan, la coca-cola a disposizione, le canzoni di Al Bano. Una pagina impressionante descrive il viaggio verso il lago d’Aral, ormai prosciugato, e della sabbia nella quale la Panda affonda, fermata quasi da un Moloch: “La tensione stava prendendo il sopravvento sulla lucidità. Il sole vince sulla ragione facendoti sognare miraggi, oasi e pozzi d’acqua”.
E poi il silenzio di Bukhara, le bellezze di Samarcanda, il racconto intenso, commoventissimo, della ricerca della tomba di Wladysław, il bisnonno polacco, oppostosi all’occupazione russa e perseguitato nei gulag. Rizzini la trova in Uzbekistan, in un piccolo cimitero ai margini di una strada: scatta una foto da portare al nonno Julian per riannodare finalmente il filo di una memoria dolorosa, vissuta ancor oggi nella sua inestinguibile attualità. Al nonno e alla nonna il libro è dedicato. E non è un fatto secondario. In tutto il racconto c’è un profondo rispetto per gli anziani che l’autore incontra nel suo cammino: è un modo per riconquistare la storia, per sottolineare il valore delle radici, per comprendere fino in fondo chi si è e dove si va. Tutto il libro è intessuto di rapporti e scambi fra generazioni. Anche se non esplicitamente raccontati, essi affiorano da una singola frase, da un pensiero, da un’osservazione. Qui non c’è scontro fra giovani e vecchi, ma dolcezza del ricordo, passaggio del testimone, speranza per l’avvenire.
Arrivato a Mosca, Rizzini torna di corsa in Italia e questa volta in aereo: sta per nascere la nipotina e lui vuole esserci. I lettori festeggeranno con lui, ma rimangono privati della descrizione di Mosca. Questa città di 12 milioni di abitanti, capitale di un impero sconfinato, straordinaria per cultura e arte (molta importata anche dall’Italia), piena di luci, colori, negozi sfavillanti, teatri sontuosi, metropolitane sbalorditive, affollata di gente indaffarata ma non nevrotica, oggi ha tanto da dirci e da insegnarci. Gli eventi storici del Novecento hanno ostacolato, fino agli anni 90, la conoscenza reciproca approfondita e cordiale fra l’Unione Sovietica e l’Europa occidentale. Ora la situazione è mutata. L’Unione Sovietica si è dissolta: lo scambio fra Occidente e Russia è necessario, e andrà viepiù intensificato. Ne scaturirà una maggiore consapevolezza politico-sociale da ambo le parti, e una più affinata comprensione del mondo in cui tutti dobbiamo vivere per progettare il futuro. Attendiamo perciò che Rizzini, con un prossimo viaggio, ci racconti le bellezze, gli incanti, i dolori, i patimenti, le gioie della Russia odierna.