Il giorno dopo la morte di Arafet Arfaoui, il 32enne tunisino colto da un malore e deceduto dopo essere stato ammanettato in seguito a un controllo della polizia, le saracinesche del Taj Mahal, il locale nel centro di Empoli dove si sono svolti i fatti, rimangono abbassate. Nessuno dei gestori di questo piccolo alimentari indiano vuole parlare: hanno già scritto tutto sui giornali, fanno sapere a Ilfattoquotidiano.it, non c’è niente da aggiungere. Intorno, all’incrocio tra via Del Papa e piazza XXIV luglio, a poche decine di metri dal liceo Virgilio, la vita ha ripreso la sua normale quotidianità. Forse perché tutti i giornali nazionali stanno parlando dell’accaduto ma qui quasi nessuno, ieri, si è accorto di niente. Una morte, dicono, arrivata nel silenzio.

“Quando ho visto arrivare l’auto della polizia – racconta il signor Zaffar che gestisce un piccolo emporio proprio di fronte al Taj Mahal, in questo quartiere caratterizzato da una forte presenza di extracomunitari – sono andato all’entrata del mio negozio (dal quale si può vedere l’interno dell’alimentari indiano, ndr). Pensavo che, visto che offriamo anche servizio di money transfer, fossero venuti a fare dei regolari controlli, come a volte succede. Volevo sbrigare la pratica velocemente perché dovevo uscire per delle commissioni, ma loro erano già dentro il negozio del mio collega. Così sono rimasto lì ad aspettarli. Sono passati 30 o 40 minuti senza che accadesse niente, così me ne sono andato e quando sono tornato loro erano ancora lì”. Altri gestori di esercizi commerciali nell’arco di una trentina di metri dal Taj Mahal hanno fornito una versione simile: “Non abbiamo sentito niente, non ci siamo accorti di cosa stesse succedendo”. Lo hanno detto i dipendenti dello studio di commercialisti in fondo alla strada e il responsabile del ferramenta poco distante, così come la proprietaria di un negozio di parrucchieri dirimpettaio dell’alimentari indiano.

Secondo i racconti dei pochi testimoni, l’intervento delle forze dell’ordine, iniziato intorno alle 18.30 di giovedì, è durato a lungo, ma ciò che esce è una versione diversa da quella circolata nelle scorse ore: “Il ragazzo non ha dato in escandescenza, non ha urlato o usato violenza contro gli agenti o il negoziante”. A raccontarlo è Mustapha, un uomo di origini nordafricane che ha assistito alla scena fuori dal negozio: “Ero qui davanti. Quando sono arrivato la polizia era appena entrata dentro al Taj Mahal – dice –. All’inizio non si capiva perché, sembrava un semplice controllo. Mi hanno detto che un ragazzo aveva provato a pagare con una banconota falsa, ma che tutto era tranquillo. Poi, dopo circa 40 minuti di controlli, il giovane è uscito correndo dal negozio. Era spaesato, si vedeva che aveva paura, che era sotto shock”.

A quel punto, secondo il racconto del signor Mustapha, il 32enne è entrato correndo nella macelleria islamica a una decina di metri dal negozio indiano. “Era così agitato – racconta il gestore – che ha tirato fuori una bibita in lattina e, nell’aprirla, si è schizzato tutta la faccia. Non parlava, era così impaurito”. Poi i poliziotti sono usciti nel tentativo di fermarlo e lui ha ripreso a correre: “Si è svolto tutto qui davanti, nell’arco di poche decine di metri – continua il signor Mustapha –. Se avesse voluto fuggire lo avrebbe fatto, non sarebbe rimasto fermo all’entrata della macelleria con un succo di frutta in mano. Quando sono usciti i poliziotti, lui ha ripreso a correre in tondo. Un uomo delle forze dell’ordine è pure caduto nel tentativo di fermarlo. Poi, però, il giovane è rientrato a corsa all’interno del Taj Mahal, non è certo il comportamento di chi vuol fuggire”. A quel punto, secondo i racconti dei testimoni, i poliziotti sono di nuovo entrati nel negozio e, come emerso dalle prime ricostruzioni, lo avrebbero ammanettato, messo a terra e gli avrebbero immobilizzato le gambe con un cordino per evitare che scalciasse. Poco dopo il ragazzo ha accusato un malore e, nonostante l’intervento di un medico del 118, è morto.

Un altro uomo, che ha preferito parlare in forma anonima, dice di aver assistito alla scena dentro al negozio: “Io ero dentro quando il ragazzo si è avvicinato alla cassa – dice –. Voleva inviare dei soldi in Tunisia e tra questi c’era una banconota, una sola banconota da 20 euro, che secondo il negoziante era falsa. Io dico: se avesse voluto far circolare banconote fasulle, perché inserirne una sola in un mazzo con molte altre autentiche? E poi, perché non è andato a pagarci della merce al mercato o in un negozio qua intorno? Perché è entrato proprio in un money transfer, dove ti vengono richiesti dei documenti e ci sono le apparecchiature per il riconoscimento delle banconote false?”.

L’uomo sostiene di aver assistito a tutta la scena e che il ragazzo ha collaborato durante i controlli: “Il giovane non è stato minaccioso nei suoi confronti, ma il negoziante ha voluto chiamare la polizia – continua – . Non poteva semplicemente ritirare la banconota e tagliarla? Gli agenti hanno raccolto le generalità, che tra l’altro vengono richieste anche al momento dell’invio del denaro, e il ragazzo è rimasto tranquillo. Solo dopo quasi un’ora di controlli e di pressioni il giovane ha iniziato a impaurirsi, ad agitarsi, e allora è fuggito fuori dal locale”.

A chiarire quale delle diverse versioni dei fatti emerse nelle ultime ore sia vera ci penseranno le indagini avviate dalla Procura di Firenze e le numerose telecamere che sorvegliano quell’angolo di strada. In passato, spiegano alcuni residenti e lavoratori della zona, nel quartiere si erano verificati episodi di spaccio e si era assistito a qualche rissa in strada. Problematiche che, però, non si ripresentavano ormai da anni, da quando appunto era stato installato un sistema di videosorveglianza. Saranno le riprese a chiarire cosa è accaduto fuori dal Taj Mahal: “La polizia aveva il nome del ragazzo, poteva accedere alle immagini delle telecamere. Se il giovane fosse voluto fuggire lo avrebbero rintracciato in pochissimo tempo – conclude il signor Mustapha –. Era proprio necessario usare la forza?”.

Twitter: @GianniRosini

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