Dopo le compiante dipartite 2018 dello chansonnier Charles Aznavour, della soprano spagnolo Montserrat Caballé e del macho di Hollywood Burt Reynolds, ci conforta la notizia del ritorno sulle scene di un altro showman: Silvio Berlusconi, che ha testé annunciato dalla Sardegna la propria intenzione di candidarsi al Parlamento europeo. Così un grande artista dell’intrattenimento ritrova il suo affezionato pubblico, seppure falcidiato dal susseguirsi delle primavere (come degli autunni). E se ormai l’età e gli acciacchi gli precludono i grandi teatri internazionali, il rischio di inciampare nel catetere impone una mobilità ridotta, il sibilo della dentiera scoraggia l’utilizzo di vocaboli con più di tre sillabe e i vuoti di memoria impongono rigorosamente di ridurre al minimo le performance pubbliche, ebbene: niente e nessuno può azzerare l’emozione per la rentrée del vecchio capocomico.
Un’operazione nostalgia che impone di riandare con la memoria alle tappe salienti di una carriera impareggiabile, cominciata ancora da attor giovane nella compagnia della Banca Rasini, molto apprezzata dalle coppole siciliane, che gli finanziava gag edilizie. Un repertorio culminato nella costruzione di città fantasma sotto l’insegna del Biscione. Sceneggiatura che già gli aveva consentito di farsi notare con un a-solo scenico, accompagnato con scrosci di battimani da tutto il pubblico pagante dell’epoca: far deviare i voli di atterraggio sulle piste dell’aeroporto di Linate per non disturbare con il rombo dei motori la quiete dei residenti nei quartieri periferici di lusso, edificati dal giovane Silvio all’insegna di quel fasullo-brianzolo per Billionari che avrebbe fatto scuola negli anni a venire. Vedasi l’esempio della Costa Smeralda, calamita per riccastri con dubbio pedigree, ma dall’apprezzato cash faraonico.
Già si intuiva da quella sceneggiata buzzurra di Segrate la griffe da grande innovatore del teatrino nazionale. Che ambiva a sempre più vaste platee. Nasce così l’avventura televisiva, anche grazie al felice incontro con un importante impresario politico – Bettino Craxi – che intuisce le notevoli potenzialità del giovanotto. Tanto da intervenire a ripetizione tra il 1984 e il 1985 a difesa del pupillo, minacciato da pretori che avevano la pretesa di fargli rispettare le normative in materia di occupazione dell’etere pubblico.
Così il Biscione si trasforma nella triade di canali televisivi a disposizione del pirotecnico entertainer, assurto a maître à penser per milioni di video-dipendenti: l’opera ciclopica di clonazione e sdoganamento della neo-borghesia cafona come modello di apprezzabilità sociale. La genia di seguaci del profeta-maestro, magari venerandone il look: quei doppiopetti dai revers ascellari, “sogno da ragioniere”, che trasformano un bassotto/atticciato in perfetto tappo della Val Gardena.
Ormai tutto era pronto per l’apoteosi, sulle note di We Are the champions già sperimentate in sinergie teatro-calcio, con cui il boss/tycoon si appropriava dell’intero patrimonio di immagine e successi dei suoi campioni pallonari: la discesa in politica del 1994. Dove seppe sperimentare l’assunto teatrale che teorizzava animando le convention Mediaset: il pubblico è composto da bambini di 12 anni e pure scemi.
Però, dopo decenni di successi (per la propria cassetta, assai meno per quella degli italiani), qualche segno di stanchezza iniziava ormai a far capolino nel serial House of Cards de’ noantri di cui era la star. E qui arrivò il colpo di genio: la tardiva e pure geniale scoperta del porno, a cartellone nella pochade “cene eleganti”; accompagnata dal lancio di una serie di starlette sullo smandrappato. Veneri tra balera e ringhiera, in cui spiccava la Ruby Rubacuori dal doppio passaporto egiziano e marocchino.
Ora il vecchio mattatore avrà ancora in serbo qualche estremo colpo d’ala? O si tratta solo dello stanco remake di chi non si rassegna all’inesorabile trascorrere del tempo? Solo malinconica polvere di stelle.