Un selfie con la moglie di un indagato per concorso esterno con la ‘ndrangheta con la quale gestisce centri di accoglienza per migranti. Tutto in una foto. Anche ad Afragola il ministro dell’Interno Matteo Salvini non ha perso occasione per fare alcuni scatti con gli amministratori locali con i quali ha discusso sul tema dell’emergenza racket. Tra i tanti ce n’è uno particolare. È quello con Cristina Acri, l’assessore comunale di Afragola a cui il sindaco Claudio Grillo ha affidato le deleghe alla pubblica istruzione e alle politiche giovanili.

Un selfie che però rischia di trascinare nell’ennesima polemica il ministro che in Calabria, nei mesi scorsi, ha dichiarato che “la ‘ndrangheta fa schifo”. Con ogni probabilità Salvini non sapeva delle relazioni particolari e infatti, tutto sorridente il ministro dell’Interno compare in una foto mentre stringe la mano all’assessore Acri. Il marito, Aniello Esposito, è coinvolto in una storia legata al business dell’immigrazione. Una storia che gli è costata l’accusa di concorso esterno con la ‘ndrangheta. Lo scorso anno Esposito è stato arrestato dal gip di Catanzaro (oggi è libero, ndr) e rinviato a giudizio su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Secondo la Procura “risulta legato alla criminalità organizzata crotonese, con la quale gestisce centri di accoglienza per migranti stranieri”.

Aniello – scrivono i pm nel capo di imputazione – avrebbe fornito “un contributo volontario e consapevole all’esecuzione del programma criminoso. Infatti, gestiva (assieme ad altri indagati, ndr) la “Casa di Cura Clinica Sant’Antonio”, cioè una casa d’accoglienza per minori non accompagnati, in modo confacente agli interessi della consorteria”.

In sostanza, secondo la Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri, il marito dell’assessore “concludeva una serie di contratti per l’acquisto di merci e fornitura di servizi con imprese controllate dalla cosca cirotana, delle quali, inesorabilmente aumentava il fatturato”. Come se non bastasse, sempre Aniello Esposito “metteva a disposizione del sodalizio le sue influenze in ambito istituzionale, anche al fine di tentare di influenzare gli esiti di un Procedimento di Misura di Prevenzione personale pendente presso la Suprema Corte di Cassazione”.

Leggendo le carte dell’inchiesta “Stige”, la “pacchia” a Cirò non era per i migranti ma per chi ne organizzava l’accoglienza. Tanto che Esposito a marzo dovrà comparire davanti al Tribunale di Crotone con l’accusa di avere “consapevolmente offerto alla cosca un contributo determinante per l’attivazione e gestione del centro di accoglienza a Cirò, negli anni 2014-2015. In favore dei sodali cirotani si era del resto sistematicamente speso, mettendo a loro disposizione le proprie entrature politiche e amministrative in Calabria come a Roma, senza le quali la cosca non avrebbe potuto attivare il centro di accoglienza migranti presso la “Casa Sant’Antonio” e, soprattutto, introitare nella ‘bacinella’ ingenti erogazioni pubbliche a copertura degli asseriti costi di gestione”.

di Vincenzo Iurillo e Lucio Musolino

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